L'editoriale

Il paradosso di una storia elvetica

È facile capire perché la fine ingloriosa di Credit Suisse sia un altro colpo a un sistema valoriale svizzero che si riteneva inscalfibile ma che ha già dovuto fare i conti con altre ignominiose vicende
Bruno Costantini
25.03.2023 06:00

È facile capire perché la fine ingloriosa di Credit Suisse sia un altro colpo a un sistema valoriale svizzero che si riteneva inscalfibile ma che ha già dovuto fare i conti con altre ignominiose vicende a iniziare dal fallimento di Swissair nel 2001. In un attimo i miti dell’orgoglio nazionale possono trasformarsi in marchi d’infamia, non perché i disastri non possano avvenire, ma per il modo in cui si producono con l’impunità dei responsabili di fronte a migliaia di persone che in un modo o nell’altro pagano il conto. La scomparsa della seconda banca elvetica non è però la pietra tombale della Svizzera e di tutte le sue icone positive che ne hanno modellato l’identità. Una riflessione viene da un paradosso: uno dei simboli della «svizzeritudine» rimasto intatto nel tempo, la ferrovia, è proprio un’eredità del fondatore di Credit Suisse, Alfred Escher, che nel 1856, fra le sue varie iniziative, creò l’istituto di credito per finanziare lo sviluppo della ferrovia nel neonato Stato federale e la realizzazione della prima galleria sotto il San Gottardo. La banca come strumento per modernizzare il Paese ed evitare che la Svizzera fosse tagliata fuori dalla rete ferroviaria europea. Oggi la ferrovia è sempre lì a ricordarci che è un elemento centrale, culturale quasi, per il funzionamento del Paese e per la stessa coesione nazionale (anche se «non ci sono più le FFS di una volta»): è un capillare sistema della mobilità, dispone di un’industria che esporta in mezzo mondo perpetuando un glorioso passato e ha infrastrutture che grazie a capacità ingegneristiche, tecnologiche e finanziarie continuano a rafforzare il mito della modernità elvetica. AlpTransit è un’opera immensa che un piccolo Paese ha offerto all’intero continente europeo. È lo stesso spirito visionario che nella seconda metà dell’Ottocento mosse Escher, a un certo punto diventato anche troppo ingombrante. Ed è lo spirito che ci piace immaginare adotterà la Svizzera per costruire un futuro sano della sua economia e della sua società, anche in contingenze di politica internazionale che possono celare obiettivi non confessabili. La fine di Credit Suisse è una brutta storia ma non è la fine della Storia.

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