L'editoriale

Il prelievo di organi e il nodo del consenso

È buona cosa che si vada a votare su un tema che tocca convinzioni intime e profonde
Giovanni Galli
06.05.2022 06:00

È buona cosa che si vada a votare sulla donazione degli organi. L’iniziativa popolare per l’introduzione del consenso presunto, nel frattempo ritirata, si prefiggeva di stimolare un ampio dibattito pubblico, che in realtà poi non c’è stato. Governo e Parlamento hanno chiuso la pendenza senza difficoltà, accogliendo la richiesta principale e mantenendo l’obbligo di consultazione dei familiari in assenza di indicazioni da parte del defunto. La campagna di voto innescata dal referendum è quindi stata un’occasione per discutere a fondo su un importante cambiamento di paradigma, in un campo che tocca convinzioni intime e profonde; per sensibilizzare su un tema che i più tendono a rimuovere, ma che riguarda tutti, sia in veste di potenziali donatori sia di possibili pazienti bisognosi di un trapianto; e per riflettere sulle implicazioni di un modello voluto per salvare più vite ma che implica anche un intervento accresciuto dello Stato nella sfera personale e tocca i diritti fondamentali.

La disponibilità di organi è insoddisfacente. Ogni anno dalle 60 alle 70 persone in lista d’attesa muoiono per la mancanza di un organo compatibile. La maggior parte dei casi in cui ci sono i presupposti sanitari per prelevare gli organi riguarda persone che non hanno lasciato indicazioni. Il personale ospedaliero interpella i familiari, che però, non essendo a conoscenza della volontà del congiunto, tre volte su cinque negano l’autorizzazione. La Confederazione aveva lanciato anche un piano d’azione con l’intento di incrementare il tasso di donatori a 22 per milione di abitanti entro il 2021, ma pur essendoci stato un aumento l’obiettivo non è stato raggiunto. Un dato che a prima vista contrasta con l’asserita disponibilità, data dalla maggioranza dei cittadini nei sondaggi, a donare i propri organi.

Lo Stato finora ha mantenuto un ruolo neutro. La scelta se donare o meno gli organi spetta al singolo, dando un libero ed esplicito consenso in vita, o subordinatamente ai familiari. Con il consenso presunto, c’è un ribaltamento di metodo. Tutti diventano per principio donatori, a meno che da vivi non dichiarino l’indisponibilità a farsi espiantare gli organi. In mancanza di indicazioni, l’ultima parola spetterebbe comunque ai familiari, i quali conservano un diritto di veto se ritengono che la volontà presunta del defunto fosse di non donare gli organi. Per i fautori del consenso presunto il fardello morale che grava sui congiunti diminuirebbe, perché la responsabilità verrebbe trasferita sul defunto. Il tasso di rifiuto calerebbe e di conseguenza aumenterebbe la disponibilità di organi. Eppure, a prescindere dagli aspetti etici, è ancora da dimostrare che il cambiamento di sistema porterà i risultati auspicati. Non ci sono studi scientifici che attestano un collegamento diretto fra consenso presunto e tasso di donazione. Ci sono Paesi in cui quest’ultimo è più alto ma anche Paesi in cui è più basso rispetto alla Svizzera. E nei primi, come ad esempio la Spagna, il consenso presunto è accompagnato da una buona organizzazione del sistema, da una preparazione specifica di medici e infermieri e da un investimento in programmi di sensibilizzazione della popolazione. L’efficacia del nuovo sistema è controversa. A dipendenza dei contesti, i fattori psicologici e culturali restano determinanti quando si è messi di fronte a certe scelte.

Sul piano etico il discorso è complesso. Bisogna considerare la condizione dei malati (fra i quali anche bambini) che vivono in una condizione di sofferenza e di angoscia, aggrappati alla speranza di trovare un organo compatibile. Se per decisione dei familiari di un donatore può capitare di prelevare un organo a chi in vita non ci aveva mai pensato o era intimamente contrario, c’è anche il rischio di non prelevarlo a chi magari sarebbe stato favorevole, pregiudicando così, a una o più persone, la possibilità di continuare a vivere. Ma il sistema del consenso presunto è problematico dal punto di vista dei diritti individuali. Lo Stato, creando un apposito registro, imporrebbe ai non donatori di esprimere una convinzione profonda, che dovrebbe restare eminentemente privata. E al tempo stesso, con il consenso presunto, risulterebbe meno protetto il diritto di decidere che cosa accadrà al proprio corpo dopo la morte. In ambedue i casi ci sarebbe un’invasione di campo. Già dieci anni or sono la Commissione nazionale d’etica della medicina aveva raccomandato di attenersi al principio della neutralità, dal momento che «nessuno può pretendere di avere alcun diritto sui cosiddetti “organi perduti” di qualcun altro». Per questo nel 2019 aveva proposto un sistema di dichiarazione in base al quale i cittadini verrebbero regolarmente invitati a prendere posizione (con facoltà di non esprimersi) sul tema della donazione. Ma il Parlamento, purtroppo, ha detto no.