L'editoriale

Il rumore della piazza, il verdetto delle urne

La manifestazione contro le misure di risparmio e il nostro processo democratico
Gianni Righinetti
23.11.2023 06:00

In Ticino la voglia di protestare ha conosciuto una escalation negli ultimi mesi. Da quando, tassello dopo tassello, ha preso dapprima forma l’intervento in materia di Cassa pensioni e poi la manovra del Governo, finalizzata al risanamento dei conti pubblici. Ieri a suon di «basta», «vergogna» e «giù le mani», slogan noti e stranoti, urlati come avviene nelle curve degli stadi, la protesta è scesa nelle vie di Bellinzona, conoscendo l’apice nella Piazza della Foca antistante Palazzo delle Orsoline. Erano cittadini che hanno fatto proprio il sacrosanto diritto di manifestare, facoltà riconosciuta dalla Costituzione federale. Quanto andato in scena può piacere o meno, ma si tratta di una possibile e legittima tappa del processo democratico (non strettamente istituzionale, anzi esattamente il contrario) ma dettato dallo spirito d’opposizione che, per un motivo o per l’altro, alberga in noi e, talvolta, emerge collettivamente in maniera palese, anche un po’ sguaiata. Specie se si è dell’avviso di aver subito un’ingiustizia. Un po’ come quando l’arbitro punisce la tua squadra del cuore o espelle il tuo beniamino. Sono momenti in cui risulta sterile ogni tentativo di riportare il discorso su un piano squisitamente razionale. Sarebbe inutile, l’emotività avrebbe il sopravvento e un ipotetico intervento del tipo, «scusate manifestanti, cerchiamo di ragionare» finirebbe, nella migliore delle ipotesi a suon di fischi e con la necessità dell’intervento della scorta per poter uscire incolume dalla bolgia. A promuovere la manifestazione c’erano tutte le principali sigle sindacali del servizio pubblico: OCST, VPOD e SIT.

Possiamo parlare della cronaca di un successo annunciato, che si era visto arrivare dalle prese di posizione piovute nelle ultime settimane perché la manovra da 134 milioni di franchi orchestrata a livello dei cinque dipartimenti e assemblata dal Governo, ha affetti su uno spettro molto ampio di cittadini. E, ognuno di questi, comprensibilmente, la vive come una ingiusta punizione. Siamo ormai nel pieno del gioco delle parti. L’Esecutivo, dopo anni sonnecchianti, ha agito sostanzialmente in fretta e in maniera diffusa. Non con tagli lineari, ma seguendo pure la rotta indicata dai cittadini nel maggio dello scorso anno quando il 56,9% dei votanti aveva deciso che la spesa cantonale era da contenere «agendo prioritariamente sulle uscite e senza aumentare le entrate». Dura lex sed lex, direbbero i latini. L’indicazione politica, ancorché indigesta per molti, era stata chiaramente espressa dalla maggioranza della popolazione. Il Governo l’ha applicata e diversamente non poteva fare. E se oggi sono dolori, magari toccherebbe a quella sinistra dogmatica e sognatrice (in un Cantone che anche le recenti elezioni federali hanno dimostrato tendere a destra) presentissima in piazza ieri sera, fare autocritica per aver trasformato il decreto parlamentare formato topolino, in un elefante con l’avallo popolare. Ma ciò che è stato capo ha. Ieri è stato il momento del rumore della piazza, dell’opposizione che da singola si è fatta collettiva, roboante addirittura, certamente (nessuno se ne abbia a male) poco ragionata, perché così è da sempre la piazza.

Chi ha dato vita a quanto oggi non piace a molti è stato eletto direttamente (tramite il partito di riferimento) da noi cittadini: in Governo e in Parlamento. Per giunta solo pochi mesi fa. Chi ha votato lo ha fatto a ragion veduta, sapendo quale politica avrebbe promosso. Può essere che ci si penta di aver votato un partito o una persona, ma in ogni caso la nostra Svizzera e il nostro Ticino sono sufficientemente democratici per lasciare l’ultima parola al popolo sovrano. Anche e soprattutto a quel popolo della piazza rumorosa che, alla fine del processo democratico che si aprirà presto in Parlamento, per effetto del meccanismo del referendum, potrà dire la sua laddove più conta. Dando sostanza al verdetto delle urne. Dopo l’effimera conta dei manifestanti, arriverà l’ora della conta che conta, alla fine del processo democratico.