L'editoriale

Il tycoon all'attacco, ma a perdere è l'America

Dall'incriminazione di Donald Trump per falsificazione di documenti aziendali, all'indagine federale sull’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio da parte dei sostenitori dell’ex “Commander in chief”: benzina sul fuoco in uno scontro politico che non contribuirà certo a rendere più forte e stabile la superpotenza americana
Osvaldo Migotto
01.04.2023 06:00

Con tutti i gravi problemi con cui il mondo è confrontato di questi tempi, potrebbe lasciare perplessi il polverone mediatico sollevato dall’incriminazione di Donald Trump da parte della procura distrettuale di Manhattan per falsificazione di documenti aziendali. I capi di imputazione non sono stati ancora resi noti ufficialmente, tuttavia stando ai media americani, in causa vi sarebbero i pagamenti fatti pervenire dal tycoon alla pornostar Stormy Daniels per comprare il suo silenzio sulla loro passata relazione. Secondo l’accusa tale trasferimento di denaro sarebbe avvenuto falsificandone la natura nei libri contabili e usando fondi della campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca del 2016, violando così le leggi sui finanziamenti elettorali.

Trump, primo ex presidente della storia americana ad essere incriminato, stando ai media USA dovrebbe presentarsi nell’ufficio del procuratore distrettuale martedì prossimo per esprimersi sulla vicenda. Nel frattempo, l’ex inquilino della Casa Bianca ha già approfittato dell’attenzione mediatica per dichiararsi innocente e per accusare i «democratici radicali» di voler colpire «un oppositore politico innocente». Ora in molti si chiedono se l’ex presidente repubblicano riuscirà a trarre vantaggi dalla vicenda in termini elettorali, facendosi passare per vittima di un sistema giudiziario politicizzato.

I cattivi, insomma, secondo la narrazione trumpiana, sono sempre i democratici che nelle presidenziali del 2020 gli avrebbero rubato la vittoria con presunti brogli di cui però non sono state fornite prove credibili. Non va del resto dimenticato che tra le indagini in corso su Donald Trump figura anche quella condotta in Georgia dal procuratore Fani Willis riguardante le pressioni esercitate dal tycoon sui responsabili locali dell’organizzazione delle elezioni presidenziali del 2020. In quell’occasione il candidato repubblicano alla Casa Bianca aveva chiesto al segretario di Stato della Georgia di «trovargli» 11.779 voti, ossia il margine necessario per battere Joe Biden in quello Stato.

Ma la vicenda giudiziaria che dovrebbe preoccupare maggiormente l’ex presidente repubblicano è l’indagine federale sull’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio da parte dei sostenitori dell’ex “Commander in chief”. Si tratta di un caso molto complesso, in cui circa un migliaio di persone sono già state incriminate. A guidare le indagini vi è il procuratore speciale Jack Smith, che può contare sulle testimonianze raccolte dalla commissione d’inchiesta della Camera dei rappresentanti, i cui lavori si sono conclusi lo scorso dicembre. Dagli stessi sono emerse tra l’altro le pressioni esercitate su alti funzionari locali in diversi Stati, per impedire la certificazione dei risultati. E, peggio ancora, l’incitamento di Trump ai suoi sostenitori a marciare sul Campidoglio, pur sapendo che alcuni di loro erano armati. L’ordine di ritirata lanciato dall’ex presidente agli assalitori era arrivato quando ormai la devastazione di Capitol Hill era avvenuta, con tanto di morti e feriti.

Fatti di un’estrema gravità che dimostrano fino a che punto l’irresponsabilità e l’ego smisurato del tycoon abbiano influito negativamente sulla società americana, spaccandola in due. Da una parte i sostenitori del condottiero conservatore “derubato” del suo secondo mandato presidenziale, dall’altra i difensori delle istituzioni democratiche americane. I presunti pagamenti alla pornostar Stormy Daniels ordinati dall’anziano candidato repubblicano alla presidenza, non rappresentano dunque che l’ennesimo episodio destinato a gettare altra benzina sul fuoco in uno scontro politico che non contribuirà certo a rendere più forte e stabile la superpotenza americana. Dal canto suo Putin osserva il tutto dal Cremlino, sfregandosi le mani.