L'editoriale

Il valore smarrito del libero pensiero

Troppi indizi convergenti dimostrano come la stupidità nel nostro mondo stia crescendo come mai prima, erodendo anche il divario falsamente confortante tra la «coglionaggine percepita» e la «coglionaggine effettiva»
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
04.09.2024 06:00

Prendendoci il rischio di infastidire gli occhiuti guardiani del politicamente corretto ormai non possiamo più consolarci tirando in ballo i brontolii latini di Seneca a Lucilio («Perché la stupidità ci domina con tanta ostinazione? Nessuno di noi va a fondo; cogliamo solo quanto è in superficie e i pochi minuti spesi per la filosofia bastano e avanzano per gente tanto affaccendata»), i sorrisini flaubertiani nel mettere alla berlina gli effetti ottocenteschi di pregiudizi e luoghi comuni su sempliciotti presuntuosi alla Bouvard e Pécuchet o nemmeno sacri testi tardo-novecenteschi come quello sulle leggi della stupidità umana dell’indimenticato storico dell’economia Carlo Cipolla. Insomma, se è vero che da sempre la stupidità ci interroga e ci fa paura, non si può più negare che in questo preciso momento della storia del mondo occidentale ipertecnologico e ipersviluppato il rischio non è soltanto che le nuove generazioni delle moderne società democratiche non possano avere lo stesso livello di benessere materiale dei loro genitori ma soprattutto che siano letteralmente meno «intelligenti» di chi li ha preceduti andando a infoltire la già imponente massa degli stupidi. E non serve nemmeno chiamare in causa la disarmante inversione di tendenza misurata negli ultimi vent’anni del noto «effetto Flynn» (dal nome del ricercatore neozelandese che lo ha teorizzato), secondo il quale i punteggi del test che misura il quoziente di intelligenza miglioravano da oltre un secolo e in ogni parte del mondo in media di tre punti al decennio, perché forse, citando il grande Hans Magnus Enzensberger, uno dei più importanti intellettuali tedeschi del dopoguerra, «la verità è che non siamo abbastanza intelligenti per capire davvero cos’è l’intelligenza».

Troppi indizi convergenti però dimostrano come la stupidità nel mondo, nel nostro mondo, stia crescendo come mai prima, erodendo anche il divario falsamente confortante tra la «coglionaggine percepita» (quella che subiamo nella nostra vita quotidiana) e la «coglionaggine effettiva» (quella dimostrata scientificamente su larga scala con misurazioni e conseguenze a livello planetario). E allora? Allora si può cercare di farsene una ragione col sorriso, magari rileggendo La prevalenza del cretino come la chiamarono in una memorabile e profetica trilogia gli insostituibili Fruttero&Lucentini o rassegnarsi alla sconfitta come nell’amaro pamphlet di Armand Farrachi, di cui ci eravamo occupati qualche anno fa, intitolato appunto Il trionfo della stupidità. Un libretto che, se ha reso il burbero saggista francese il punto di riferimento per un’esigua minoranza di resistenti all’egemonia dilagante del non-pensiero, chiude pure, inesorabile, ad ogni speranza di riscatto, inchiodando un Occidente ormai perduto in cui nessuna controffensiva e nessun imminente risveglio illuminista ci attende dietro l’angolo per salvare le sorti dell’umanità. Per fortuna però non mancano anche coloro che provano, nonostante tutto, a suggerire delle soluzioni a questa deriva desolante non rassegnandosi punto alla tellurica e millenaria potenza della stupidità. Ne è un esempio consigliatissimo l’ultimo libro dell’ottimo giornalista culturale e filosofo della scienza italiano Armando Massarenti, sempre appassionato difensore del pensiero critico, dal titolo volutamente iperbolico e un po’ qualunquistico: Come siamo diventati stupidi. Una immodesta proposta per tornare intelligenti, pubblicato qualche mese fa da Guerini e Associati. Ironico, convincente e raffinato al tempo stesso il libro di Massarenti (di cui ovviamente non sveliamo l’illuminante tesi finale) ci aiuta a capire cosa sta succedendo e perché a farne le spese è ciò che di più prezioso ci ha regalato la lunga e dolorosa battaglia per la civiltà: il liberalismo politico e la capacità di elaborare un pensiero autonomo, critico e basato su un sapere solido, aperto e antidogmatico. Meno male che qualcuno se ne ricorda ancora.