Editoriale

Il veliero di Meloni e le insidie del mare

L'Italia, da pochi giorni governata da una coalizione di destra-centro, sembra un veliero: bello ma fragile
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
29.10.2022 06:00

La nave di Giorgia Meloni è appena uscita dal porto con la fiducia delle Camere. Usiamo la metafora marinara perché cara al (non alla) presidente del Consiglio italiana. La usò anche Craxi negli anni Ottanta (E la nave va, da un celebre film di Fellini) per descrivere un momento di ripresa dell’economia nazionale. Ed è particolarmente appropriata perché si può vedere il Paese, da pochi giorni governato da una coalizione di destra-centro, come un veliero bello ma fragile. Investito da più tempeste in questi anni (pandemia, guerra) ma comunque capace, grazie a un ammiraglio non di carriera come Mario Draghi, di crescere più di altri Paesi e di mettere mano alle riforme necessarie per poter investire i circa 200 miliardi di sussidi e prestiti europei. La prima donna premier - che proprio ieri ha detto di voler essere appellata al maschile - eredita conti rimessi in ordine. Si è premurata di avvertire l’Europa (come sovranista le piace poco) e i mercati (entità diabolica per ogni populismo) che lei non metterà a repentaglio le finanze pubbliche. Anche a costo di rimandare molte delle promesse gridate in campagna elettorale. Meloni, atlantista come Draghi - a dispetto dei suoi partner che non nascondono simpatie e ammirazione per Putin - non ha alcuna intenzione di ammutinarsi nell’Unione europea. E Francia e Germania non hanno alcun interesse a ostacolare un possibile percorso di pacificazione europea dell’Italia meloniana, timorose di alimentare i ben più pericolosi sovranisti di casa. Il presidente del Consiglio italiano conosce poi quanto la stiva sia ingombra di debito pubblico, il cui carico potrebbe pericolosamente oscillare facendo naufragare il veliero. A maggior ragione dopo l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea, che lei non ha mancato di criticare. L’era del denaro facile è finita. Ed è terminata anche la stagione degli acquisti senza limiti di titoli di Stato, da parte di Francoforte, che rendevano il vascello più leggero e slanciato. Nonostante si sia discusso molto del centesimo anniversario (ieri) della marcia fascista su Roma, non vi è alcun pericolo di svolta autoritaria. Le istituzioni democratiche italiane sono più forti di quanto non si pensi. Meloni è per la famiglia tradizionale ma non lo è la sua e nemmeno quella di altri membri del Governo. La sinistra italiana avrà promosso di più i diritti delle donne, ma è indubbio che non le abbia portate al potere come la destra. La legge sull’aborto solleva molte critiche nella coalizione al Governo, ma non è applicata in molte Regioni per via dell’alto numero di medici obiettori. Resterà com’è. Meloni ha detto che questo Esecutivo non darà fastidio a quelli «che vogliono fare». Non ha aggiunto «bene», ma speriamo sia implicito. Il primo atto degli inquieti alleati leghisti è stato quello di proporre di alzare il limite nell’uso del con limite a 10 mila euro in un Paese dove il «nero» e l’evasione abbondano. Come se questa fosse una misura così indispensabile. Forza Italia frena. Il Governo lo alzerà ma meno del previsto. Sulla politica sanitaria anche le ultime restrizioni per la pandemia sembrano destinate a cadere. E forse anche le multe comminate ai trasgressori della vaccinazione. L’effetto combinato di queste misure «libertarie» potrebbe ulteriormente minare il non eccelso senso italiano per le regole. Ed è forse questo il messaggio più insidioso ai marinai del Governo Meloni. La disciplina non è ferrea, il comandante indulgente (soprattutto sul Fisco), le regole approssimative. Ma il veliero, seppur fragile, conserva la sua intatta bellezza.