L'editoriale

Impiego pubblico e rapporto di (s)fiducia

Riflessioni dopo la piazza e alla luce del no di Soletta all'iniziativa per limitare il numero dei funzionari - Le scelte politiche e i corsetti rigidi
Gianni Righinetti
05.03.2024 06:00

Le manifestazioni di piazza e lo sciopero della scorsa settimana (ad oggi non è noto in quanti siano stati realmente coloro che hanno incrociato le braccia) hanno indicato uno scollamento a più livelli, in primis tra privato e pubblico. Il paragone tra chi lavora per lo Stato o nel privato mostra situazioni impari su diverse variabili: in primis per quanto concerne la certezza del posto di lavoro. Passata la buriana piazzaiola è ora di tornare a più miti consigli. Lo spunto per tirare tutti il freno delle emozioni ci arriva da quel Canton Soletta che solitamente non fa notizia se non per il fatto di essere molto diverso dal Ticino. In primis per confinare con Basilea, Berna, Argovia e Giura, una situazione a noi sconosciuta a livello geografico, linguistico e amministrativo: a proposito di occasioni di collaborazioni intercantonali il Ticino non potrà mai essere paragonato a tante altre entità della Svizzera centrale. Nel weekend i cittadini di Soletta sono stati sollecitati ad esprimersi su un’iniziativa denominata «Così snello, così forte», di marca PLR e con il sostegno dell’UDC. Lo scopo era ridurre il numero degli impiegati dello Stato in ragione di un funzionario ogni 85 abitanti. Proporzione che avrebbe imposto la soppressione di 140 impieghi nello Stato nei prossimi anni. E questo perché i dipendenti del Cantone erano cresciuti in un decennio del doppio rispetto alla popolazione. Ebbene, il popolo ha detto no, bocciando, nella misura del 55,5%, la proposta sul tavolo. Si tratta di un’idea che solletica qualcuno anche in Ticino, dove ambienti democentristi e leghisti sarebbero pronti a promuovere un’iniziativa fotocopia in salsa ticinese. È probabile che il saggio e sufficientemente chiaro no solettese non li farà desistere. A breve potremmo quindi trovarci a dibattere, discutere e ulteriormente dividere l’opinione pubblica sull’eccesso di impiego statale che abbiamo in Ticino. Politicamente sarebbe qualcosa di fortemente divisivo, in grado di spaccare il Ticino tra pro e contro statali. Diciamo che con il clima attuale già infuocato non se ne sente il bisogno. In primo luogo, perché si tratterebbe di un’idea per nulla svizzera, eccessivamente vincolante e legata a doppio filo a meccanismi d’ordine politico-contabile, in stretta relazione con il numero della popolazione.

Ma li vedete i nostri a fare ogni anno il calcolo per stabilire il numero dei funzionari cosiddetti «indispensabili» in rapporto al numero dei cittadini, neonati, lavoratori e pensionati? Poi chi si prenderà carico di tagliare gli esuberi e decidere in quali settori potare rami? Se poi dovesse essere accolta dalla popolazione andrebbe ad imbrigliare e costringere l’intera classe politica in un corsetto amministrativo e contabile, privando d’ogni margine di manovra chi è chiamato a governare. E se dovesse essere respinta si trasformerebbe in un boomerang, diventerebbe l’avallo tacito a procedere senza alcun freno in virtù dell’interpretazione del voto popolare. Ciò non toglie che in Ticino la questione «impiego pubblico» sia sfuggita di mano alla politica stessa e al Governo in primis con l’insorgere o il gonfiarsi di servizi ed uffici. Va detto che il raddoppio leghista in Consiglio di Stato (che risale ormai al 2011), prometteva ben altra conduzione e indirizzo per la macchina statale. Alla fine, non ci resta che concludere che, prima o poi, chi arriva al Governo, procrastina le logiche in atto, tanto più quando le stesse forze politiche restano in sella a lungo nel medesimo dipartimento. Forse solo l’avvento del maggioritario potrebbe dare una scossa, ma questa ipotesi intimorisce al punto che, ormai, non si osa neppure più parlarne. Soffiare sulla brace per mantenerla ardente potrebbe fare anche il gioco delle forze sindacali e bracci armati scesi in campo da alcuni mesi, con taluni che non vedono l’ora di manifestare nuovamente, per tenere alto il livello della tensione.

Oggi è tempo di stemperare gli animi, di smetterla di foraggiare la lotta tra sindacati storici e neonati movimenti reazionari. Una situazione che è stata chiarissima in occasione della mobilitazione della scorsa settimana con Erredipi a prendersi la testa del corteo (perché la mobilitazione è stata iniziativa loro) e i colori dei sindacati VPOD, OCST e SIT a dominare dal palco della piazza di fronte al Governo (perché quello era loro territorio). Della serie: siamo tutti davvero uniti e nessuno intende sovrastare nessuno. Ma a chi la vorrebbero dare a bere i protagonisti «nostrani»? Per contro salutiamo con favore il primo timido passo teso alla conciliazione che intende compiere la VPOD, intenzionata a chiedere un nuovo incontro con il Governo per riallacciare il discorso sulla variabile carovita. Occorre agire senza tentennamenti per ristabilire un rapporto di fiducia e scacciare quella sfiducia reciproca che non fa bene a nessuno, neppure ai cittadini che devono mantenere intatta la lucidità per decidere e indirizzare il Ticino di domani.