L'editoriale

Impossibile una Lugano senza lago e senza LAC

La sfida di costruire e promuovere un polo di assoluto riferimento per le arti e la cultura, se non altro su scala cantonale e nazionale, è stata senz’altro vinta
Paride Pelli
12.09.2025 06:00

Dieci anni fa, all’epoca della sua inaugurazione, giustamente è stato scritto che il LAC sarebbe stato uno spartiacque nella storia della città di Lugano. Trascorso un decennio, non possiamo che concordare e non solo per quanto riguarda Lugano: per tutto il Ticino c’è ormai un «prima» e un «dopo» LAC. La sfida di costruire e promuovere un polo di assoluto riferimento per le arti e la cultura, se non altro su scala cantonale e nazionale, è stata senz’altro vinta. Il LAC ha saputo imporsi, in soli dieci anni, come un vero e proprio centro propulsore di attività artistiche, con una programmazione ricca, diversificata e di alto livello. La presenza di istituzioni come l’Orchestra della Svizzera Italiana e il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, di numerose compagnie teatrali e di danza (Finzi Pasca su tutte) e della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, sempre più ambiziosa nei suoi progetti curatoriali, ha reso il LAC, diciamolo pure senza timore di smentite, insostituibile. Anzi, possiamo perfino osare una banalità, comunque piena di ammirazione per il progetto e la sua storia fin qui: se non ci fosse il LAC, bisognerebbe inventarlo, in barba a coloro (pochi, per fortuna) che lo considerano uno spreco di denaro pubblico o addirittura si vantano di non averci mai messo piede. Questa osservazione vale anche dal punto di vista urbanistico, architettonico e simbolico: è innegabile che il profilo del LAC abbia contribuito a ridefinire l’identità di Lugano. Situato in una posizione strategica tra il centro e il lungolago, l’edificio, con la sua architettura contemporanea e aperta, e con i suoi interni high tech, è diventato iconico. A giudicare da quanto abbiamo visto tutte le volte che ci siamo passati questa estate, è probabilmente il luogo della città più «instagrammato» dai turisti. Dopo il lago, ça va sans dire. E tutto questo - miracolo - senza creare folla, ressa o code, come accade invece in altri Paesi.

Inevitabili le ricadute economiche positive sul territorio, che potrebbero tuttavia essere maggiori con un ampliamento degli orari d’accesso (sia il mattino sia la sera) e di una piazza Luini più viva e coinvolgente. Con i suoi concerti (che richiamano decine di migliaia di spettatori l’anno nella famosa Sala Teatro dall’acustica perfetta) e le sue mostre d’arte, il LAC genera comunque ricavi e posti di lavoro, nonché un indotto consistente ad ogni evento. In un decennio che è stato caratterizzato da un turismo culturale in estrema crescita, se non ci fosse stato il LAC la città di Lugano, e con essa il Ticino, sarebbe rimasta periferica rispetto alle rotte turistiche più battute. Non sarebbe stato possibile, infatti, essere competitivi con un sistema di musei, per quanto validi o validissimi, troppo sparsi sul territorio. Il LAC è uno di quei rari casi dove un poco di centralizzazione non ha fatto male alla cultura cantonale. Merito anche dell’aver saputo restare vicino alla gente, coinvolgendo il pubblico, le scuole, le associazioni, gli artisti, con proposte trasversali e improntate su una visione partecipativa della cultura. Sogniamo adesso il giorno in cui i due big della cultura ticinese, il LAC e il Festival di Locarno, stabiliscano un proficuo rapporto tra loro, come parte di un progetto più grande: fare del Ticino un’unica grande «capitale» della cultura e della natura, portando il cantone, nel suo complesso, ai livelli che merita.

Dopo queste belle, e meritate, parole sul LAC nel suo decennale, ci sia permessa qualche osservazione più critica. Non è un male, talvolta, lavorare maggiormente di concerto tra i vari settori, dotarsi di più carattere e, soprattutto, saper osare. Si apre, oggi, il secondo decennio di vita del LAC, quello dove si raggiunge la maggiore età. Se i primi dieci anni, come per gli esseri umani, sono stati dedicati a entrare nel mondo, imparando a camminare con le proprie gambe e a relazionarsi con la realtà, i prossimi dieci potrebbero, e forse dovrebbero, rappresentare una sfida diversa: quella di trovare una propria voce e raggiungere una definitiva consacrazione internazionale, incrementando la sua attrattività e il suo prestigio. Ciò non significa restringere i propri programmi per meglio profilarsi, tutt’altro. Tenendo fede alla propria offerta pluralistica e partecipativa, il LAC ha ora la possibilità - anche grazie alle nuove figure di riferimento dirigenziali - di sperimentare maggiormente, di tentare programmazioni che abbiano l’ardire non solo di proporre alta cultura, ma anche e soprattutto di farla, appunto attraverso scelte più coraggiose. Sarebbe un segnale di ulteriore dinamismo in un’epoca dove tante altre istituzioni culturali, anche prestigiose, preferiscono andare sul sicuro con programmazioni francamente déjà vu.