L'editoriale

In Francia la retraite della democrazia

Con il passare del tempo, un provvedimento del tutto ragionevole, seppur tardivo, ha assunto una dimensione inedita – Ecco perché la rivolta francese pone interrogativi anche ai Paesi che hanno regolato anzitempo i loro sistemi previdenziali
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
27.03.2023 06:00

A differenza della rivolta dei gilets jaunes, le manifestazioni contro la riforma delle pensioni hanno una regia sindacale e politica. Ma neanche il più potente dei sindacati francesi è in grado di scongiurare scontri con la polizia e atti di violenza. Sono in azione black bloc e casseur. Ma c’è anche un diffuso malumore che tende a travalicare le forme del dissenso democratico. Come è accaduto nelle scorse ore a Sainte Soline nella Nuova Aquitania. E non per le pensioni ma per l’acqua. Macron non poteva fare altrimenti. Se avesse deciso, come in passato, di aspettare momenti migliori per una necessaria correzione della spesa previdenziale, avrebbe compromesso gran parte della sua immagine presidenziale. Ha mostrato coraggio, decisione. Ma ha comunque forzato il voto parlamentare. E la mossa non è priva di conseguenze. Il dubbio è se non abbia sottovalutato la portata simbolica della riforma. E con lui non la stiano sottovalutando persino i sindacati che vogliono un negoziato, in particolare sui lavori usuranti, ma temono a loro volta di non tenere più la piazza.

Con il passare del tempo, un provvedimento del tutto ragionevole, seppur tardivo, ha assunto una dimensione inedita. È diventato il contenitore di ogni rabbia sociale, anche infondata, l’espressione di un risentimento di classe che non scomparirebbe nemmeno se Macron ne annunciasse il ritiro. La difesa delle pensioni c’entra fino a un certo punto. Ecco perché la rivolta francese pone interrogativi anche ai Paesi che hanno regolato anzitempo i loro sistemi previdenziali. Il confronto tra la proposta francese e la riforma che l’Italia, con il governo Monti e la ministra Fornero, fece nel 2012, è persino improponibile. L’età pensionabile fu portata, dalla sera alla mattina, formalmente a 67 anni. Parigi propone di innalzarla gradualmente, da qui al 2030, a 64 anni. La riforma italiana fu approvata in pochi giorni, sotto la spinta della crisi finanziaria. Senza alcuna manifestazione di piazza. Ma è anche vero che, in seguito, venne derogata diverse volte, fino a svuotarla.

 Ogni riforma pensionistica, anche la più graduale come quella di Macron, lascia una scia di rancori. E anche chi ne sostiene l’ineluttabilità, si pone l’interrogativo se sia giusto privare, soprattutto i giovani, di una certezza nella programmazione dei loro percorsi di vita. Gli anni di contributi (la riforma li eleva da 42 a 43) non possono bastare? L’ex presidente François Hollande si domanda se valga la pena di sfidare la rabbia popolare per recuperare 10 miliardi al bilancio pubblico quando per placare i gilets jaunes ne sono stati spesi 20. La Francia, a differenza di altri Paesi, ha una partecipazione al lavoro più elevata, un tasso di natalità superiore. Appare meno afflitta, come altri sistemi previdenziali, dallo spauracchio demografico di avere tra pochi anni un solo lavoratore per ogni pensionato. Parigi ha però alcuni regimi speciali (per i trasporti come per la banca di Francia) che detengono trattamenti altrove intollerabili. Privilegi che incendiano il dissenso. Nel mettere mano alla previdenza - scelta indifferibile di solidarietà generazionale - Macron ha portato alla luce, meglio alla piazza, l’insoddisfazione profonda di chi si sente a torto o a ragione discriminato. Un paria in una società sempre più diseguale dove chi ha meno viene chiamato sempre più spesso - a maggior ragione di fronte agli effetti della pandemia e della guerra, alla tassa ingiusta dell’inflazione - a pagare un conto che altri, più in alto nella scala sociale, non pagano. Quanti sono i ponti levatoi invisibili delle nostre società?