L'editoriale

Inflazione e tassi, una chiara lezione

Il punto ora non è scatenare una spirale prezzi-salari che rischierebbe di non far scendere l’inflazione e di ritorcersi contro tutti, imprese e lavoratori, ma è comprendere la lezione che viene da quanto è accaduto
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
23.09.2022 06:00

Con un secondo aumento la Banca nazionale svizzera ha riportato in positivo il tasso di interesse guida sul franco. Da -0,25% a 0,50%, dopo quasi otto anni si esce dal segno negativo. Considerando il quadro di inflazione, l’aumento è inevitabile e anzi altri rialzi potrebbero rendersi necessari. Con il rialzo del giugno scorso la BNS aveva già mostrato non solo di voler stare nel movimento delle maggiori banche centrali, ma anche di voler ritrovare più autonomia, precedendo la Banca centrale europea. Avrebbe potuto per la verità agire anche prima, ma meglio tardi che mai per il primo aumento BNS, bene per questo secondo. Ora è auspicabile che la guardia rimanga alta contro il rincaro, «tassa» ingiusta che erode il potere d’acquisto.

Quanto è accaduto richiede anche una riflessione più generale. Negli anni scorsi le maggiori banche centrali hanno operato per far salire l’inflazione, puntando a una media annua attorno al 2%. Supponendo ragionevolmente che abbia avuto successo la loro azione basata su maxi liquidità e tassi ai minimi, si può dire - semplificando - che circa il 2% di inflazione avrebbe potuto non esserci se gli istituti centrali non avessero attuato così a lungo quella linea. L’altra rilevante parte del rincaro attuale, come si sa, viene soprattutto dalle strettoie determinate dalla fase pandemica, dalla guerra in Ucraina, dalle turbolenze in alcuni settori, da quello dell’energia e dell’alimentare in particolare.

Nella situazione svizzera quanto sopra significa in termini reali che anziché registrare circa 3 franchi in meno ogni 100 posseduti alla fine di quest’anno - BNS e SECO prevedono ora un rincaro medio annuo elvetico del 3% - si sarebbe potuto limitare il danno a circa 1 franco. Sarebbe stata sempre un’erosione del potere d’acquisto, ma minore. D’accordo, stiamo parlando della Svizzera, che grazie alla sua storica contrarietà all’inflazione e grazie alla forza del franco sta meno peggio di tanti altri. Ma il tema c’è. E a sollevarlo ancor più dovrebbero essere i cittadini di Paesi e aree - a cominciare da USA, Eurozona, Regno Unito - dove ora l’inflazione erode 8-9 unità ogni 100 delle rispettive monete. Le circa 2 unità non erose lì ancor più servirebbero.

Il punto ora non è scatenare una spirale prezzi-salari che rischierebbe di non far scendere l’inflazione e di ritorcersi contro tutti, imprese e lavoratori. La retribuzione del lavoro va tutelata ma occorre moderazione anche nelle richieste salariali, tanto più quando si tratta di frenare il rincaro in una fase economica complicata come questa. Il punto, oltre a mantenere la necessaria ragionevolezza su tutti i versanti, è comprendere la lezione che viene da quanto è accaduto. Le maggiori banche centrali non stanno sbagliando ora, mentre inevitabilmente aumentano i tassi di interesse per contrastare il rincaro; hanno sbagliato prima, mantenendo troppo a lungo politiche espansive contro una presunta deflazione incombente e arrivando così in ritardo alle misure contro un’inflazione ormai eccessiva. Nel mantenere per anni i tassi negativi, la BNS ha utilizzato la motivazione del freno posto a un franco troppo alto, che ora non c’è più perché la moneta forte aiuta contro l’inflazione alta. Ma anche la BNS ha partecipato in una certa misura alla teorizzazione di un’inflazione vicina al 2%.

Molti ora affermano che tassi più alti portano sicuramente alla recessione. È un’affermazione azzardata, non è certo. C’era già un rallentamento economico, dovuto in gran misura alle tensioni internazionali, vedremo sino a che punto influirà il freno alla domanda legato ai tassi più alti. È certo invece che non porre ostacoli all’inflazione alta, almeno per la parte possibile, porta a recessioni. Anche su questo, in passato nel mondo ci sono state lezioni chiare.