L'editoriale

La cara benzina e il braccino corto

L'obiettivo dell'abbandono del combustibile d'origine fossile, il rincaro dell'energia e la mossa dell'UDC Ueli Maurer
Gianni Righinetti
30.05.2022 06:00

«Cara benzina, ti scrivo». Potrebbe iniziare così una ipotetica lettera dedicata al combustibile d’origine fossile ricavato dal petrolio che, con carbone e gas, è finito sul banco degli imputati del deterioramento delle condizioni necessarie alla vita degli esseri viventi sulla terra, in primis per noi, appartenenti alla specie umana. Il petrolio, ritenuto tanto dannoso, è stato (e lo è ancora) il vettore che alimenta un numero considerevole delle nostre attività, che spinge il motore della nostra economia, che genera il nostro benessere e sostiene il nostro ritmo di vita. Al petrolio, detto concretamente e senza troppi giri di parole, non possiamo rinunciare in un breve lasso di tempo. Per contro occorre pianificare la riduzione e individuare la via d’uscita dalla nostra stretta dipendenza. Ed è quanto si sta facendo: ma non è né facile, né immediato, tantomeno a costo zero. Quello avviato è un processo lungimirante e irreversibile, tutti chiedono investimenti e coraggio, ma alle parole non sempre seguono i fatti. Occorrono tempo, pazienza e molti soldi per una riconversione dal vettore d’origine fossile all’energia elettrica, a patto che questa non venga a sua volta generata con le materie prime indicate, ma che possa derivare da ciò che abbiamo in natura: sole, acqua e vento.

Anche la produzione energetica, a sua volta, è entrata in una fase di riconversione, dal carbone, dal gas e dal nucleare. Quest’ultimo, al di là delle belle favole che vengono raccontate ai bambini e che poggiano sull’ideologia più spinta e fantasiosa, rimane indispensabile per il percorso che stiamo compiendo. Insomma, si fa presto a dire «spegniamo le centrali nucleari» mentre accendiamo sempre più interruttori e pretendiamo di inserire la spina nella presa della corrente, perché senza questa non possiamo vivere. Se fino a qualche anno fa un black out temporaneo era vissuto come un momento diverso ed era risolvibile accendendo un paio di candele, usando magari la pila d’emergenza custodita nel cassetto (quella che, quando occorre, ha le batterie scariche), oggi se «salta la luce» ci sentiamo persi, spaesati, drammaticamente oscurati pure noi.

Oggi il problema della benzina e dell’energia è legato in particolare al prezzo, all’impennata che c’è stata dallo scoppio della guerra in Ucraina per effetto del mercato globale ma anche della speculazione e dei suoi attori protagonisti, che, come i tentacoli di una piovra, arrivano ovunque.

Dal 2023 l’energia rincarerà in maniera importante andando a pesare sui bilanci familiari (è inutile che ci dicano che, alla fine, non sarà poi così tanto insopportabile credendo di rassicurarci) e producendo oneri supplementari alle aziende che metteranno in atto la politica dello scaricabarile. Tutti costi che, alla fine, verranno ribaltati sul consumatore finale. È chiaro, evidente ed elementare: pagheremo di più, sempre di più. E ci toccherà farlo di persona.

Se sull’energia l’effetto rincaro sarà ritardato, sul petrolio e i suoi derivati è stato immediato, dirompente e, anche se oggi forse non vediamo più i picchi constatati nelle prime settimane della guerra, il prezzo alla colonnina rimane elevato. Eppure il Consiglio federale non intende fare nulla: «Non abbiamo soldi» ha tuonato il consigliere federale UDC Ueli Maurer dopo che ufficialmente il Governo aveva affermato di «non essere autorizzato a rinunciare integralmente o in parte» all’imposta gravante sui carburanti. Insomma, si tratterebbe di un problema di natura formale, legale. A martellare per lo sgravio è soprattutto l’UDC con una raffica di atti parlamentari che esortano la politica federale (e in primis i suoi due ministri) a spingere in questa direzione, a dare un segnale ai cittadini. Come andrà a finire lo scopriremo sul finire della sessione delle Camere federali che prende il via oggi sotto la cupola di Palazzo federale e che vedrà impegnate le due Camere fino a metà mese.

Il Consiglio federale su questo tema appare irremovibile e il ministro delle finanze Maurer, come detto, non ne vuole sapere. D’altronde tutto questo non ci stupisce, i politici che gestiscono le finanze hanno la tendenza ad avere il braccino corto e fare valere anche indicatori macroeconomici per dire che l’aumento della benzina «è sopportabile nella ricca Svizzera». A questa stregua tutto è sopportabile? Alla politica, e all’UDC in primis, tentare nell’impresa ardua di allungare il braccino di Maurer.