La cassa malati e l’iceberg che ci attende minaccioso

Il salasso mensile del premio delle casse malati è generato in primo luogo dall’eccesso di consumo di prestazioni sanitarie di noi cittadini che agiamo secondo il motto imperante «io pago, quindi consumo: è un mio diritto». D’altro canto, chi ha in mano a Berna il giocattolo dal profilo politico non ha saputo, o non ha voluto (perché la lobby sanitaria è potentissima) intervenire in maniera drastica. La somma di tutto questo ci dice con disarmante realismo che la Lamal ha fallito. Un fallimento strutturale, persino sociale, ma che non porterà mai al collasso della Lamal stessa, perché ad ogni aumento dei costi agli assicuratori malattia basta pigiare il tasto che, automaticamente, conduce all’aumento del premio. Poi, che paghi il cittadino (corresponsabile) o il Cantone (mucca da mungere e alter ego indiretto del cittadino stesso) la sostanza non cambia. Il 28 settembre ci troveremo sulla scheda di voto due proposte: la regola del 10% del PS, secondo la quale il premio non dovrebbe superare il 10% del proprio reddito disponibile. E quella di marca leghista che chiede di concedere la deduzione fiscale integrale del premio. Ognuno, seguendo l’istinto potrebbe trovarsi meglio con l’una o con l’altra. Legittimo, anche se, onestamente, va detto senza remore che nessuna risolve alla radice il problema degli esorbitanti costi della salute.
Il problema emerge nella sua drammatica dimensione quando, con calcolatrice o pallottoliere, ci si rende conto di quanto costa tutto questo. Ben 300 milioni di franchi all’anno la prima e, su per giù, 100 milioni la seconda. Un’enormità, un’esagerazione. Il cerotto più caro della storia del Ticino che, per giunta, non risolve un bel nulla. Semplicemente illude noi cittadini. Ci dice che pagare meno è possibile, ma questo è un miraggio senza che si metta seriamente e coraggiosamente mano in profondità al sistema. La sirena d’allarme risuona a livello dei Comuni, con in primis i sindaci di Lugano e di Bellinzona (a dispetto dall’essere leghista e socialista), unitamente a quelli di Locarno, Mendrisio e Chiasso che segnalano il forte impatto della perdita del gettito fiscale ed esortano i propri cittadini verso due no. Ma è soprattutto il Cantone ad intervenire con determinazione bocciando senza appello le iniziative. L’idea che arriva da sinistra ci presenta una logica semplicistica che mira a rendere naturale, il diritto ad attingere ai sussidi, quasi si trattasse di un pozzo senza fondo, all’interno del quale il denaro si rigenera in maniera naturale. In verità da quando il Cantone ha pubblicato l’esorbitante stima dei 300 milioni, i promotori si sono spaventati, qualcuno ha tentato di sminuirne la portata, altri si sono inventati un minor impatto partendo dall’assunto (invero assurdo) secondo cui se non tutti chiederanno il sussidio extra-10%, le finanze cantonali non piangeranno troppo. Al PS e sostenitori (quella «società civile» che sponsorizza l’idea) va riconosciuto di accingersi a fare ciò che ogni iniziativista schiva scientemente in campagna quando si prevedono aggravi. Presto ci diranno come e dove prendere quei soldi che verranno a mancare. Difficilmente (eufemismo) ci proporranno dei tagli da parte del Cantone a prestazioni oggi erogate e certamente ci saranno interventi di natura fiscale. Il classico «mettere le mani nelle tasche». Lodevole l’azione e la spinta che mostra responsabilità (e pure un briciolo di panico). Ma la sostanza non cambia di una virgola.
I populisti, di destra e di sinistra, sembrano aver stretto un patto a distanza dato che la logica che sottintende le due proposte ha incredibilmente un denominatore comune. Mettere in difficoltà gli enti pubblici, tanto qualcuno troverà una soluzione. Un gioco pericoloso perché l’iceberg ci attende minaccioso. Quando lo colpiremo ci vorrà ben altro che un cerotto.