La fiducia cresce solo se c'è trasparenza

Dentro o fuori. Senza mezze misure, senza alternative. L’appuntamento con le urne del 28 settembre sarà di quelli pesanti politicamente e, in caso di un sì popolare, pure dal profilo finanziario. L’iniziativa socialista che mira a fissare un massimo del 10% del reddito disponibile per i premi di cassa malati (costo stimato 300 milioni di franchi) e quella leghista che suggerisce la deduzione in sede d’imposte del versamento obbligatorio (100 milioni) verranno sottoposte al popolo nella forma secca, sprovviste dunque di compromessi. Comunque andrà a finire si tratterà di un messaggio forte accompagnato da un’assunzione di responsabilità, in particolare se dovesse concretizzarsi un doppio sì. Quel salasso andrebbe colmato e, alla fine, toccherà sempre a «Pantalone» metterci una pezza, nella fattispecie a colmare una voragine. La campagna, c’è da scommetterci, sarà tesa e ai contrari occorrerà una buona dose di coraggio per tentare di avere la meglio sui facili populismi che faranno credere ai cittadini che è tutto facile, che si può avere il soldino e il panino. Purtroppo, il tema delle casse malati non si risolve con un cerotto cantonale. La sessione parlamentare che si è chiusa ieri non ha riservato solo il braccio di ferro sulle citate iniziative popolari, ma era iniziata con una due giorni scoppiettante sul fronte delle finanze cantonali. Il dibattito sul Consuntivo 2024, nelle cifre rosse, ma con meno deficit del previsto, è stato per contro nuovamente un incubo. Due giornate di ridondanti parole per discutere di soldi già spesi, senza la minima progettualità. Tanta gazzarra e acredine: tutto letteralmente inutile. Una tensione tra partiti per interposto Governo, finanche facendo leva su un paio di consiglieri di Stato. In passato il bersaglio era soprattutto il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport e il suo precedente direttore. Ora invece il DECS è stato risparmiato dalla critica aspra, addirittura premiato con un voto egregio, seppur a fronte di molte domande. Non ce ne voglia Marina Carobbio, ma il merito non è la sua politica, bensì il fatto che c’erano due leghisti sui quali infierire alla luce della sciagurata e goffa mossa dell’arrocco escogitata da Norman Gobbi e Claudio Zali con il braccio armato della domenica. Va riconosciuto che i due se la sono un po’ cercata. Di certo non l’hanno subita, in particolare Zali che ha colpito più volte di fioretto, sfoggiando la sua rara, ma molto ficcante, loquacità. Curioso è il fatto che le sferzanti critiche ai due sono giunte da un poker di donne: Cristina Maderni, Sabrina Gendotti, Natalia Ferrara e Daria Lepori, con l’aggiunta di Matteo Buzzi: intervenuti a tenaglia sui dipartimenti delle Istituzioni e del Territorio. Alla fine di questo dibattito non resta che chiederci che cosa sia rimasto e a cosa sia servito. Letteralmente a nulla e lasciando un vuoto cosmico. E i due «ministri» hanno pure perso l’occasione buona per fare un briciolo di autocritica. La difficoltà di dialogo tra i due livelli istituzionali, tra Esecutivo e Legislativo, è radicata ed è forse il problema più grande che abbiamo da anni in Ticino. Il gioco delle parti non è di per sé negativo, ma solo se poi culmina in una sintesi propositiva. In realtà il duello è permanente e i frutti non maturano mai, paradossalmente cadono dalla pianta ancora acerbi. Forse non maturano perché fin dalla base non c’è maturità.
Degno di nota, nel marasma della reciproca acredine, è stato l’accorato appello all’unità da parte del direttore del DFE Christian Vitta. Intervenendo a braccio, mettendo da parte le note scritte e parlando guardando negli occhi i 90 granconsiglieri ha affermato: «Il Governo, e lo dico con molta umiltà, ha bisogno di segnali di fiducia. Il Governo le sue battaglie le vuole fare. E intende farle anche con voi. Ma c’è bisogno di unità». Parole forti e profilate, non scontate nel momento politico attuale ma che lasciano aperta la porta della speranza per una politica migliore, qualcuno potrebbe anche interpretare il tutto «per politici migliori». Unità e fiducia sono concetti assenti in questo momento storico cantonticinese e, senza nascondersi dietro a un dito, va detto che la mossa dei due leghisti non depone certamente a favore di quanto ha espresso Vitta. In primis all’interno del Governo. Ecco perché è più che mai urgente un rinnovato dialogo e un chiarimento nell’Esecutivo sul tema del desiderio di scambio di sedia dipartimentale tra Gobbi e Zali. Non si può procrastinare un chiarimento e una decisione. Il tutto andrà poi espresso chiaramente, comunicato con quella trasparenza e volontà di dialogo che solo poche settimane fa Gobbi, presentando il suo anno presidenziale, aveva sbandierato ai quattro venti. Nascondere o sottacere non avrebbe alcun senso. Ce la faranno i nostri cinque?