La forza svizzera è la forza del cervello

A chi mostra i muscoli si risponde con il dialogo e usando il cervello. È un po’ questa la sintesi alla quale si può giungere oggi di fronte alla marcata instabilità, finanche alla schizofrenia, geopolitica indotta da una miriade di situazioni. Come la devastante guerra tra Russia ed Ucraina, con la novità del week-end dell’apertura a un negoziato da parte di Vladimir Putin. Ma, fino alla prova provata del contrario, rimane il fatto che lo «zar» russo brilla per essere spietato e per nulla incline al compromesso. In attesa dei fatti, pertanto, meglio diffidare in nome del realismo che va a braccetto con la prudenza. C’è poi la guerra commerciale innescata da Donald Trump con saccenza e un sorrisetto sarcastico immediatamente dopo la sua entrata in carica alla Casa Bianca, ma il presidente degli USA si è visto costretto ben presto ad innestare la retromarcia. A fare da contraltare ai due facinorosi globali, c’è stata anche una forza piccola, fin mite, che non è parte integrante di alcun potentato, che per prassi non si schiera in preda a spinte irrazionali, ma ragiona. Una forza calma. Si chiama Svizzera, la nostra Svizzera. Quel fazzoletto a mosaico situato nel bel mezzo dell’Europa politica, che resta saggiamente fuori dall’unione del continente e non si presta ad essere servo sciocco di nessuno. Lo sappiamo bene, sul piano interno il «tiro al Governo» (o al consigliere federale), è uno sport molto diffuso. Invero, talvolta, pure noi osserviamo con marcato scetticismo alcune mosse, che, a prima vista, appaiono avventate. Come l’impressione di uno smarcamento rispetto alla neutralità assoluta in occasione del conflitto russo ed ucraino, le sanzioni e, più recentemente, la decisione preventiva di optare per il referendum facoltativo in riferimento alla nuova intesa con l’UE ancor prima che quel documento venga reso pubblico. Unitamente al bizzarro metodo di darne un assaggio a pochi eletti del Parlamento generando vie preferenziali poco elvetiche. La politica, di fronte a tutto questo, si agita, si inalbera e perde le staffe. Ma la storia insegna che la capacità elvetica di mediare, alla fine, ha quasi sempre la meglio.
Il caso dei «dazi made in USA» ci illustra quanto a Palazzo federale non si lasci nulla al caso, senza troppo clamore, ma con impegno e perseveranza. La mossa coordinata di alcuni consiglieri sull’asse Washington-Ginevra, dimostra l’azione di una diplomazia sopraffina, elegante e al contempo tatticamente ineccepibile. Andiamone fieri. Anche se non è facile superare gli steccati di chi vuole e fomenta lo scontro politico sempre e comunque, siamo dell’avviso che, talvolta, la ragione, il buonsenso e l’onestà intellettuale debbano prevalere sullo scontro dettato dal perenne sapore elettorale della politica-partitica.
Saggia è stata la decisione di non mostrare i muscoli (sarebbe stato risibile vista la netta disparità tra potenze) quando Trump alla lotteria del dazio ha sparato una tariffa del 31% a nostro carico. Poi la frenata influenzata da una combinazione di fattori economici, politici con l’indigesta pietanza finita nel freezer e l’apertura di tavoli di dialogo. La prima soluzione «win-win» è stata trovata con la Gran Bretagna, ma la vera notizia è che la Svizzera è in «trattativa avanzata» per seguire il Regno Unito e mettersi al riparo da spiacevoli sorprese nei rapporti commerciali con gli USA. Notevole, davvero degno di nota per quel puntino rossocrociato sullo scacchiere mondiale. Puntino, però, che ci sa fare e che dispone di una «force de frappe» economica da mai sottovalutare. Trovarsi sulla buona strada per fare valere questo dato di fatto, deve riempire d’orgoglio ogni cittadino e ogni colore politico. Lo diciamo, ma non ci illudiamo: così non sarà. Comunque, sulla base dei fatti che abbiamo sotto i nostri occhi, vale la pena ribadirlo, perché l’ottimismo è un sentimento che richiama e genera positività contagiosa, mentre lo stato delle cose più comuni, finanche quelle che rispondono a una narrativa precostituita, ci trascina verso il baratro.
Abile è stato anche fare di Ginevra, per antonomasia polo dell’apertura sul mondo, una piattaforma di dialogo per potenze quali USA e Cina in riferimento ai colloqui del week-end alle spalle allo scopo di disinnescare le tensioni tra le due principali potenze mondiali. Se i grandi non fanno a botte, abbiamo tutti da trarne una sorta di vantaggio. Siamo la nazione della «de-escalation» e del dialogo tra parti. Poi non tutte le ciambelle escono col buco: la conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina nell’estate del 2022 non è un esempio virtuoso, quella del 2024 al Bürgenstock «sulla pace in Ucraina» non ha sortito esiti eclatanti. Ma resta sempre la parte buona della medaglia: la Svizzera c’è.