L'editoriale

La guerra c’è ancora, ci ricorda Francesco

Il conflitto in Ucraina, come dicono alcuni esperti, è diventato endemico?
Paride Pelli
12.01.2023 06:00

«C’è un paradosso che sta emergendo in maniera lampante: l’empatia e la solidarietà di tutta Europa, Svizzera inclusa, e la volontà di aiutare il popolo ucraino, non sono ad oggi accompagnate da scelte strategiche e da decisioni efficaci in campo militare e politico. L’Occidente sta dannatamente faticando a entrare in un ruolo di mediatore». Chiediamo scusa ai lettori per l’autocitazione, ma era il mese di marzo dell’anno scorso quando scrivevamo queste parole già allora poco ottimiste e il conflitto tra Russia e Ucraina era scoppiato da una ventina di giorni. Oggi, da quel maledetto 24 febbraio, ne sono passati 322. Come temevamo, la guerra si è fatta sentire anche da noi: a livello umanitario in primis, con l’accoglienza dei rifugiati, e poi con i rincari lungo le filiere di approvvigionamento che hanno influito sulla vita e sulle decisioni di aziende e nuclei domestici in Svizzera e in tutto il continente europeo. Come in epoca pandemica, abbiamo tenuto duro e sopportato, cercando di resistere senza danni irreversibili. Forse ci stiamo riuscendo, ma il prezzo da pagare, a quanto sembra, è una drammatica quanto inaccettabile assuefazione alla guerra. Che è diventata, come dicono diversi specialisti, endemica. I media ne parlano, ça va sans dire, realizzando reportage, servizi, analisi. È il loro mestiere, è il nostro mestiere. Quello che però ci preoccupa innanzitutto come cittadini, è che i governi e le cancellerie, la diplomazia e persino il mondo della cultura - come scrivevamo ormai nove mesi fa – siano in una fase di stallo e forse addirittura – davvero ci auguriamo che non sia così – di disimpegno e disinteresse nei confronti del conflitto.

Al di là dell’invio di armi e di aiuti umanitari, nessuno osa più pronunciare la parola «pace» e nemmeno «tregua». L’Europa fatica sempre più a riconoscere a sé stessa il ruolo nobile di mediatore. E forse è rimasto solo il Papa a esporsi in questo senso. In mezzo a settimane per lui a dir poco «tribolate», in cui ha presieduto perfino i funerali di un altro Papa (fatto assolutamente inedito nella storia), Francesco non ha perso occasione di ricordarci quello che a molte, troppe orecchie suona ormai come un paradosso: c’è una guerra in corso. Una guerra «insensata» l’ha definita il Pontefice in un intervento davanti agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Aggettivo più che mai calzante: poiché ogni cosa insensata dovrebbe al più presto cessare. Francesco ha infatti citato a complemento anche la Gaudium et Spes, costituzione pastorale del 1965: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione».

Figura amata quanto discussa, Francesco è per i suoi critici un Pontefice un po’ troppo legato a vicende e a interessi terreni, ma forse proprio per questa sua caratteristica, unita al suo ruolo di guida spirituale, è l’unico leader sulla scena mondiale che ha osato ricordarci che «la terza guerra mondiale» - come è tornato a definirla nelle ultime ore - è in pieno svolgimento. Il fatto che stia avvenendo «a pezzi» e per ora lontano se non dai nostri occhi, almeno dalla nostra vita quotidiana concreta, non vuol dire che sia meno cruenta e che la pace non debba essere attivamente ricercata come opzione numero uno. È ben strano che sia rimasto solo il Papa a pensarla così e a dichiararlo con forza, mentre diversi Stati europei sono impegnati a comunicare i propri ulteriori invii di armi sempre più performanti all’esercito ucraino. Quello di Papa Francesco resta così un appello tanto accorato quanto inascoltato, mentre in Ucraina si continua a combattere senza sosta.