L'editoriale

La neutralità e un Paese alle prese con se stesso

Al pari degli altri Paesi occidentali, la Confederazione ha dovuto misurarsi con i contraccolpi del conflitto — La Svizzera è ancora alla ricerca di un chiaro posizionamento a livello internazionale
Giovanni Galli
23.02.2023 06:00

Il primo anno di guerra ha visto la Svizzera impegnata su più fronti. Berna ha promosso (su iniziativa di Ignazio Cassis) la conferenza di Lugano per la ricostruzione dell’Ucraina, ha stanziato un primo pacchetto di aiuti umanitari per 100 milioni di franchi per l’inverno e ieri ne ha varato un secondo esteso alla Moldova. Al pari degli altri Paesi occidentali, la Confederazione ha dovuto misurarsi con i contraccolpi del conflitto, in termini di approvvigionamento energetico, di aumento del costo della vita e di gestione dei rifugiati. Il ritorno alla dura realtà della minaccia militare in Europa ha spinto il Parlamento a decidere un significativo aumento delle spese per l’esercito. Ma lo scoppio del conflitto ha visto anche un Paese alle prese con se stesso e ancora alla ricerca di un chiaro posizionamento a livello internazionale. L’adesione alle sanzioni dell’UE contro la Russia ha innescato un dibattito sulla neutralità che è solo agli inizi e che, complice in parte l’appuntamento elettorale di ottobre, segnerà anche i prossimi mesi. L’UDC ha lanciato un’iniziativa popolare che chiede una neutralità integrale e che esclude di fatto la ripresa di sanzioni (tranne quelle eventualmente decise dalle Nazioni Unite). Il Consiglio federale, finora, si è mostrato riluttante a entrare nel vivo del dibattito, respingendo l’idea di Cassis di adattare il concetto di neutralità, alla luce della guerra in Ucraina. Secondo il Governo, la politica di neutralità, così come definita e attuata a partire dal rapporto del 1993, continua a essere valida e lascia alla Svizzera un margine di manovra sufficiente per reagire agli eventi. L’iniziativa comporterebbe un cambio di paradigma, perché farebbe della neutralità un fine rigido e non più, come ora, uno strumento flessibile nelle mani del Governo per la tutela degli interessi nazionali. I suoi promotori tendono a sottovalutare le conseguenze di un isolamento del Paese. Se per Christoph Blocher, a causa delle sanzioni economiche, la Svizzera non è più neutrale, per altri, al contrario, non applicarle farebbe della Confederazione una sostenitrice di chi trasgredisce il diritto e una profittatrice. Ma l’iniziativa è anche un’occasione da cogliere per condurre un dibattito aperto su quale neutralità si vuole.

Accanto a questo primo fronte si è aggiunto un suo derivato non meno divisivo - c’è chi lo ha già definito un test per la politica di neutralità -, il tema della riesportazione di armi. Attenendosi alla Legge sul materiale bellico, il Consiglio federale ha detto no alle richieste di Germania, Danimarca e Spagna, che volevano fornire all’Ucraina munizioni e veicoli acquistati anni prima in Svizzera. Il Parlamento, dopo aver stretto le viti nel 2021 (quindi prima dello scoppio della guerra), sta cercando di correggere la rotta. Le severe disposizioni svizzere, più che ostacolare il sostegno occidentale a Kiev, rischiano di mettere la Confederazione in cattiva luce. Reduce dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Viola Amherd ha detto in un’intervista a «Le Temps» che il divieto di riesportazione non viene capito dai partner europei. Le cose però a Berna stanno andando per le lunghe e sciogliere il nodo della riesportazione è oggettivamente complicato. Sul tavolo ci sono varie proposte commissionali, che poggiano su basi giuridicamente contestabili, perché rischiano di non essere conformi al diritto della neutralità (che prevede una parità di trattamento fra belligeranti) o al diritto internazionale (le decisioni dell’Assemblea generale dell’ONU non hanno in questo caso legittimità legale). Se ne parlerà, in parte, già durante la prossima sessione. Il Parlamento è in evidente difficoltà e stenta a risolvere un dilemma in cui cerca di conciliare rispetto della neutralità (senza forzature), buoni rapporti con i partner e salvaguardia dell’industria bellica locale. L’ultimo compromesso appena delineatosi al Nazionale, che subordina la riesportazione a una serie di condizioni, sembrerebbe avere più chance di altre proposte, ma potrebbe richiedere ancora diverso tempo. In aula, tuttavia, il consenso è tutt’altro che garantito. L’UDC, che una volta era contraria al giro di vite, ora non vuole cambiare, in nome della neutralità. I Verdi si oppongono per le loro convinzioni pacifiste. Il PS è diviso. Certo, prima con le sanzioni alla Russia e poi con i pacchetti di aiuti umanitari, il Consiglio federale ha dimostrato in modo tangibile che ci sono anche altri modi per aiutare un Paese aggredito in difficoltà. Ma in conto bisogna mettere anche che tipo di neutralità gli altri Paesi, in particolare quelli che giocano un ruolo fondamentale per la nostra sicurezza, sono disposti a riconoscere. Per questo una via d’uscita sulla questione della riesportazione è auspicabile. La guerra in Ucraina impone anche una profonda riflessione sulla politica di neutralità adatta alle sfide del nuovo secolo.