La spinta degli incentivi e il salvagente necessario

È più facile ottenere un leasing per un’auto di lusso che un finanziamento per una termopompa. La stoccata alle banche arriva dal consigliere di Stato Claudio Zali, il quale la scorsa settimana ha annunciato la ripresa dei programmi di incentivi cantonali per promuovere la decarbonizzazione in Ticino. Una frase ad effetto che, al di là della critica nei confronti di un attore ritenuto finora assente, centra una questione più grande che riguarda, in generale, il grado di consapevolezza della società riguardo la transizione energetica in corso. Metabolizzare l’idea che occorre davvero muoversi in questa direzione non è affatto scontato, soprattutto in un contesto dove l’attenzione all’ambiente finisce quasi sempre per passare in secondo piano rispetto a bisogni più impellenti. Prova ne è che la discussione sulle rinnovabili viene affrontata dai cittadini sul versante della convenienza economica piuttosto che su quello dell’urgenza climatica. Del resto, ognuno pensa alle proprie tasche, alla sostenibilità dell’investimento. C’è voluta la guerra in Ucraina, con il conseguente rialzo delle tariffe di ripresa sul solare, per farci ingolosire un pochino. La stoccata iniziale, in fondo, potrebbe essere rivolta anche a noi. In questo contesto di sensibilità collettiva, la visione a lungo termine messa in campo e difesa dal Dipartimento del territorio attraverso il Piano energetico e climatico (PECC) merita quindi di essere salutata positivamente, in quanto ci porta là dove singolarmente in pochi avrebbero la forza di arrivare.
Ora spetterà al Gran Consiglio discutere il Piano, non privo al suo interno di alcune criticità, come l’obbligo di sostituire entro il 2040 tutti gli impianti a combustibili fossili e di installare pannelli fotovoltaici su tutti gli edifici nuovi o ristrutturati. Le imposizioni sono impopolari, irritano e difficilmente vengono accettate di buon grado. Il segnale uscito dalle urne nel fine settimana, al riguardo, è inequivocabile: la protezione dell’ambiente non deve avvenire a scapito delle libertà personali, né ostacolare lo sviluppo economico e il benessere sociale. Al Gran Consiglio, fin qui, va comunque riconosciuto il merito di aver dato seguito alla visione del Consiglio di Stato, approvando il pacchetto di 100 milioni di franchi a favore del risanamento degli edifici esistenti e della conversione degli impianti. L’obiettivo della decarbonizzazione è ambizioso. Di buono, però, c’è che una parte della strada è già stata percorsa. Dal 2008 il Ticino ha ridotto le emissioni di CO₂ di circa un quarto e - grazie ai programmi di efficientamento - ha abbassato i consumi energetici del 13%.
Dei tre pilastri del PECC - decarbonizzare, efficientare e produrre più energia rinnovabile - l’ultimo è certamente il più problematico. Guardando allo sviluppo di questo vettore, il Consiglio federale ha infatti ritenuto di dover tenere aperta la porta sul nucleare, mettendo in consultazione (fino al 3 aprile) la proposta di abolire il divieto di costruire nuove centrali. Una sorta di salvagente energetico (in un mutato contesto geopolitico) che il Consiglio federale vorrebbe avere al suo fianco nel caso in cui le rinnovabili non fossero in grado di compensare le capacità produttive che verranno meno con lo spegnimento dei reattori. Oggi, il nucleare copre circa il 30% del fabbisogno complessivo, ma soprattutto produce elettricità 24 ore su 24, a differenza del solare che - in estate - produce 8 ore su 24, meno ancora in inverno. Nell’equazione finale che saremo chiamati a risolvere s’inserisce poi, di forza, anche la posizione di chi chiede energia sicura a prezzi competitivi. Tante, tantissime priorità che ciascuno vorrà difendere e guardare con la propria lente. Alla fine, però, se l’equazione non darà un risultato netto, qualcuno il resto lo dovrà pagare. A che cosa siamo pronti a rinunciare? Alla sicurezza dell’approvvigionamento, che garantisce stabilità e continuità nelle nostre vite quotidiane? Al nostro benessere economico, che potrebbe essere minacciato da un rapido passaggio a soluzioni più costose e meno affidabili? Tuttavia, come non vedere, al contempo, che la gestione delle scorie nucleari non è ancora una soluzione matura né eticamente solida, visto che solleva preoccupazioni legate alla sostenibilità a lungo termine. Meglio puntare all’obiettivo dell’abbattimento delle emissioni aumentando al contempo le capacità produttive delle rinnovabili. A quel momento potremo valutare con maggiore pragmatismo i passi successivi.