L'editoriale

La svolta UE sulla mobilità sostenibile è solo a metà strada

La decisione europea per lo stop alle auto a motore termico dal 2035 cambierà radicalmente le abitudini degli automobilisti, ma soprattutto ridisegnerà un’industria che ha un peso molto rilevante nell’economia del Vecchio Continente.
Generoso Chiaradonna
25.02.2023 06:00

Il cinema di fantascienza ha contribuito a costruire l’immaginario collettivo e popolare di un futuro popolato di auto volanti, mezzi supersonici alla portata di chiunque e addirittura di teletrasporto. Senza scomodare le memorie di nonni e bisnonni che si erano formati – per rimanere più vicini a noi – nei primi decenni del secolo scorso – ognuno di noi, nato almeno negli anni ‘60, ha fantasticato e mitizzato il 21. secolo. Il 2000 era immaginato, almeno nelle menti di un undicenne, come una sorta di varco spazio-temporale che una volta attraversato ci avrebbe portati magicamente in un’epoca di innovazione e prosperità. I fumetti e le poche serie televisive dell’epoca hanno certamente contribuito a questa visione ottimistica di «magnifiche sorti e progressive». La realtà è però un’altra, almeno dal punto di vista della mobilità.

Prendiamo il motore a scoppio. La sua invenzione alla fine del 1800 è stata una vera e propria rivoluzione e come tale ha segnato per sempre un prima e un dopo di un’epoca. Ha di fatto condotto l’umanità - almeno quella occidentale - nel futuro in cui viviamo ancora oggi. Applicato alle macchine industriali, ha alleviato le fatiche nelle fabbriche e aumentato la produttività; ha ridotto le distanze e ha cambiato per sempre nel bene e nel male la nostra civiltà. Alimentato a benzina o a gasolio, è rimasto tecnologicamente lo stesso negli ultimi 140 anni fatti salvi i consumi di carburante che sono costantemente diminuiti. La crisi petrolifera del 1973, per esempio, contribuì a dare una spinta all’industria automobilistica per rendere più efficienti, in termini di consumo e di emissioni inquinanti, i motori endotermici. Oggi, per esempio, un’automobile di media cilindrata consuma poco più di 6 litri di benzina ogni 100 chilometri. Si tratta della stessa quantità di carburante bruciata da una economica e popolare FIAT 500 degli anni ‘60. Questo per dire che il progresso tecnologico c’è stato, ma ha raggiunto un limite fisiologico oltre il quale non è più possibile andare. Nemmeno con gli e-fuel, i cosiddetti carburanti sintetici ecologici. Immaginare un’auto che percorre, per ipotesi, 200 chilometri con un solo litro di carburante è più vicino alla fantascienza dell’undicenne degli anni ‘70, rispetto ad auto elettriche a guida autonoma o addirittura volanti. Almeno, la maggioranza del parlamento europeo è di questo avviso. Ha fatto propria, non si sa quanto consapevolmente, la frase di Abramo Lincoln secondo cui «il modo migliore di immaginare il futuro è quello di crearlo».

Dal 2035, quindi, non sarà più possibile immatricolare sul territorio dell’Unione Europea auto con motori a combustione. Si tratta di una decisione che ha una portata epocale e che cambierà radicalmente le abitudini degli automobilisti, ma soprattutto ridisegnerà un’industria che ha un peso molto rilevante nell’economia europea. L’automotive che comprende tutto il mondo economico che gira attorno ai veicoli, ha solo 13 anni per reinventarsi. Una scelta che secondo la CLEPA, l’associazione delle imprese attive nella componentistica auto, potrebbe costare almeno 500 mila posti di lavoro in Europa. Impieghi non sostituibili integralmente anche se si convertisse l’intero comparto al motore elettrico. Quest’ultimo, infatti, richiede meno componentistica. Le batterie che spingeranno i motori del futuro parco auto avranno bisogno di elettricità e a dipendenza della fonte scelta per produrla impatteranno comunque sull’ambiente. Difficilmente si può definire ecologica e sostenibile un’auto che userà elettricità prodotta dal carbone, da altre fonti fossili o dal nucleare ritenuta fonte pulita dall’UE. Oltre alla riconversione industriale, ci sarà bisogno anche di investimenti miliardari proprio nel campo dell’energia rinnovabile (fotovoltaico, eolico e idroelettrico) e nella sua distribuzione. Infine, c’è il capitolo litio, materia prima fondamentale per le batterie che non né facile, né sostenibile da estrarre e che si trova in grandi quantità in Cina. La dipendenza da potenze di dubbia fama democratica continuerebbe sotto altre forme.

Ma il progresso è necessario. L’innovazione tecnologica è insita nel processo di avanzamento delle civiltà. Da sempre. Se l’esigenza prioritaria è quella di bruciare meno petrolio possibile per permettere alle future generazioni di avere almeno le nostre stesse possibilità di sviluppo umano, ben venga il motore elettrico. Bisogna però essere coscienti che una tale scelta ha bisogno dell’intervento di una forte mano pubblica. Solo se i profitti che ora sono garantiti all’industria del petrolio saranno sostituiti da quelli della nascente green economy, la svolta sarà realtà. Fino ad allora bisognerà mettere in capo alla collettività importanti sussidi pubblici. Gli Stati Uniti hanno messo sul tavolo circa duemila miliardi di dollari di soldi pubblici per spingere il cambiamento tecnologico con l’intento di attivarne molti di più dalle imprese. In Europa si vagheggia di Fondi sovrani, ma per ora senza capitali.