L'editoriale

L'addizione tra UBS e CS dovrebbe fare quasi due

Le conseguenze sull'occupazione potrebbero essere contenute nel caso in cui l'entità svizzera del Credit Suisse rimanesse indipendente
Generoso Chiaradonna
12.05.2023 06:00

Una volta concretizzata l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS dal punto di vista legale, le due entità, pur costituendo un unico gruppo aziendale, continueranno ad essere gestite in mondo indipendente. E questo almeno fino a nuovo avviso. È in sintesi quanto annunciato all’inizio di questa settimana dal vertice di UBS che ha reso nota la struttura dirigenziale del futuro gruppo bancario. Non è un cambio della strategia che mira - fin dall’annuncio della fusione forzata dello scorso marzo - ad assorbire integralmente nel tempo tutte le attività dell’attuale Credit Suisse. Nella comunicazione mancano tuttavia le indicazioni su quel che accadrà, da una parte alle attività nazionali di Credit Suisse, e dall’altra alla sorte dei collaboratori di tutte e due le banche. È noto che quando due strutture aziendali operanti nello stesso settore e negli stessi mercati si uniscono, l’aritmetica diventa un’opinione. Per intenderci, uno più uno non fa due ma molto meno. Doppioni e e sovrapposizioni di competenze e attività sono i presupposti per esuberi di personale importanti. 

Stando a una stima recente dell’istituto di ricerca BAK Economics, l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS potrebbe causare la perdita tra i 9.500 e i 12 mila posti di lavoro solo in Svizzera, dove le due banche occupano in totale circa 37 mila dipendenti. A livello globale, la ristrutturazione avrebbe un impatto ancora più profondo: un terzo dei circa 120 mila impieghi dei due istituti. 

L’annuncio quindi che «UBS valuterà tutte le opzioni per le attività svizzere del Credit Suisse» unite al fatto che entrambe «le società continueranno a gestire le proprie filiali e uffici, servire i propri clienti e fare affari con le controparti» alimenta per certi versi la speranza che non tutta la storia più che secolare della banca fondata da Alfred Escher scomparirà. Lo stesso CEO di UBS Sergio Ermotti ha ricordato a più riprese che «tutte le opzioni sono sul tavolo».  

Concetto ribadito anche dal vicepresidente del Consiglio di amministrazione di UBS Lukas Gähwiler durante l’ultima assemblea generale degli azionisti di aprile, quella che ha ratificato l’acquisizione del CS. Interpellato su una possibile quotazione della società che gestisce le attività svizzere del Credit Suisse, Gähwiler aveva sottolineato che prima di poter prendere decisioni strategiche sul futuro, bisognava completare legalmente e definitivamente l’operazione non mettendo comunque limiti ad alcuna ipotesi.  

Procedere con calma, senza accelerare sull’integrazione è quindi un modo per cercare trovare la migliore soluzione per tutti i portatori di interesse attorno all’operazione. Guadagnare tempo vuol dire anche guadagnare la fiducia di clienti e dipendenti che sono diventati nel frattempo oggetto di attenzione da parte dei concorrenti di UBS sia in patria, sia all’estero. 

E lo ha fatto intendere anche Sergio Ermotti parlando di un modello di affari da espandere e di gestione disciplinata del rischio e indicando come un solido bilancio e ricavi diversificati andrebbero a beneficio di clienti, dipendenti e investitori. Non bisogna dimenticare che la sola entità svizzera di Credit Suisse, nonostante le turbolenze che hanno colpito l’intero gruppo, è ancora in grado di generare profitti: nei primi tre mesi ha conseguito un utile di 313 milioni di franchi. Questo per dire che almeno una parte del gruppo acquisito è in grado di generare ancora valore e potrebbe continuare a farlo anche in futuro. Inoltre, il mantenimento formale di una struttura aziendale indipendente ancorché sotto il cappello del gruppo UBS, attenuerebbe le conseguenze sociali dei licenziamenti contribuendo ad avvicinare il risultato della somma algebrica a due, almeno in Svizzera.  

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