L’arte UDC del dividere e gli altri che fuggono

La Svizzera è un Paese storicamente ancorato alla prudenza. Gli svizzeri non amano avventate fughe in avanti, diffidano delle soluzioni drastiche e fanno del compromesso una virtù nazionale, un simbolo, da mostrare con fierezza ed orgoglio. Ed è per questo che colpisce il modo in cui la Berna federale ha ottusamente affrontato l’iniziativa popolare lanciata dall’UDC, tenuta in pugno con il petto in fuori come fanno i massimi esponenti con l’alabarda. Quasi a voler significare: «Gli svizzeri veri siamo noi». È l’ennesimo errore sotto la cupola di Palazzo federale, dove il primo partito nazionale ha incassato l’opposizione bicamerale pura e dura all’iniziativa «No a una Svizzera da 10 milioni!». I democentristi ben sapevano quale sarebbe stato il destino al Consiglio nazionale e quello di lunedì sera al Consiglio degli Stati e il copione è stato perfettamente rispettato. L’UDC cavalca da anni il tema migratorio, lo forgia a sua immagine e somiglianza, lo trasforma in un testo appetibile e adatto al momento storico, osserva il calendario e ne stabilisce la tempistica, per giungere a maturazione nel momento più propizio. Quello della campagna elettorale. Gli altri partiti s’indignano, si inalberano, lottano contro il populismo UDC tentando di contrapporre un no che non ammette quella ragione storicamente svizzera. Non mediano, ma si oppongono ottusamente. Non pensano al giudizio popolare, ma al Palazzo. E così, fanno esattamente il gioco del loro avversario che, sornione, sorride, ringrazia e porta a casa. Si andrà alle urne con una scelta binaria, senza sfumature, senza lo straccio di un controprogetto, come se la complessità fosse diventata improvvisamente un optional e si possa risolvere tutto con una soluzione bianca (mantenendo lo statu quo), negando di fatto l’umore popolare, oppure nera (rivoluzionando e picchiando duro), vendendo sogni e illusioni di una Svizzera in grado di agire come se non dovesse rendere conto di nulla a nessuno. All’insegna di un esasperato, e alla fine, esasperante, sovranismo. Il Centro, è vero, un poco ci ha provato, ma il PLR non ha seguito e la sinistra è stata addirittura accecata dalla rabbia all’idea di confezionare qualcosa che potesse dare anche una sola briciola di ragione all’odiata UDC. Partito che, una volta ancora, ringrazia e si appresta a brindare alla salute e alla longevità di quegli avversari diventati alleati per dabbenaggine. L’UDC ha un merito che sarebbe intellettualmente disonesto negare: costringe la politica a parlare di crescita demografica immigratoria, un tema che per anni è stato trattato come un tabù. Alzare barricate affermando «economia in pericolo, mancanza di manodopera, rischio di isolamento» non viene recepito dal cittadino se sul tavolo manca qualcosa di concreto e ci si limita al ruolo di «neinsager». Bastava poco per giocare la partita, ammettere la realtà dei fatti, ovvero che il problema immigrazione, sovraffollamento, risorse limitate, politica sociale esiste per davvero e lo si deve affrontare con strumenti più raffinati, non con la clava. Ma lo si doveva fare nel corso del dibattito e poi nella campagna di voto, non sostenendo spocchiosamente che «già si fa. Punto». Il dibattito ne esce impoverito e chi si opporrà lo farà con armi spuntate, mentre gli altri impugneranno l’alabarda e si potranno proclamare come veri elvetici e salvatori della patria.
L’iniziativa non nasce nel vuoto, nasce in una Svizzera che cresce rapidamente e che ne avverte gli effetti: alloggi più cari, traffico più soffocante, infrastrutture sotto pressione. Nasce in un Paese che, nel giro di pochi decenni, ha cambiato volto a una velocità che non tutti riescono a digerire con la stessa serenità di chi mostra solide certezze di facciata per combattere chi paventa nostalgia o chiusura. In realtà si tratta di spazio. Uno spazio fisico, limitato, che non può essere moltiplicato per decreto o indossando i paraocchi per non guardare la realtà. Osservare l’iniziativa con un favore critico e misurato non è sposarne ogni riga. Significa riconoscere che la domanda posta è legittima. E che liquidarla come populista o semplicistica equivale a lasciare irrisolto il problema che l’ha generata. I limiti del testo sono evidenti, a partire dalla soglia fissa, uno strumento grossolano per governare dinamiche complesse. Una soluzione mediata avrebbe potuto introdurre criteri di sostenibilità legati alla capacità infrastrutturale, alla pianificazione territoriale e alla produttività. Avrebbe potuto parlare di gestione qualitativa della migrazione, non solo di quantità. Avrebbe potuto offrire una risposta svizzera a un problema svizzero. Dieci milioni in fondo non sono solo una cifra. Sono uno specchio. E lo specchio, a volte, restituisce un’immagine che non fa piacere. Ma è spesso da lì che comincia una discussione adulta. Bastava affrontarla invece di fuggire.

