Lavoro e dumping: la sfiducia non paga

Votare e rivotare. Questo è il Ticino, che sarà nuovamente chiamato ad esprimersi sulle misure da mettere in atto per fare fronte al fenomeno del dumping salariale. Nel 2016 il popolo aveva deciso di non accogliere la proposta radicale dell’MPS che mirava a destinare 10 milioni di franchi l’anno per controlli a tappeto. I cittadini hanno dato fiducia al compromesso investendo 2,5 milioni l’anno per più ispettori e una maggiore professionalizzazione delle Commissioni paritetiche che, con quelle Tripartite, sono l’autentica conquista sociale da mantenere: un tavolo attorno al quale fare collaborare padronato e parti sociali. Insoddisfatta per quell’esito l’estrema sinistra ha rilanciato con un’iniziativa popolare e altre proposte. E il nodo è ora tornato al pettine. Da una parte quel dumping che trova terreno fertile nella complessa realtà ticinese, un unicum nel panorama elvetico per motivi storici e geografici. Siamo un cuneo inserito e confinante con la metropoli lombarda e i suoi 10 e più milioni di abitanti che vivono in un contesto sociale lontano da quello ticinese, con salari molto distanti dai nostri standard e a cui il Ticino ha sempre fatto gola. Con questa realtà abbiamo convissuto per anni e dovremo farlo anche in futuro. Mantenere alta la guardia è un dovere, adottare misure vessatorie nei confronti dell’economia e sproporzionate dal profilo dell’impegno finanziario per il Cantone genererà solo illusioni. E costi esorbitanti. Senza alcun beneficio per i nostri salari. La proposta poggia su quattro pilastri: l’obbligo di notifica per ogni contratto di lavoro; un ispettore ogni 5.000 lavoratori; una sezione dedicata alle discriminazioni di genere (con un ispettore ogni 2.500 lavoratrici); la pubblicazione di una statistica aggiornata dei salari e delle condizioni di lavoro. La tentazione di dire sì può essere molto forte, ma occorre sangue freddo, anche se di questi tempi il dilagante populismo e qualunquismo a suon di slogan dall’impatto emotivo, non permettono di dare per scontato nulla alle urne.
Non resta che rendere attenti sulla gigantesca macchina di controllo che dovrebbe mettere in atto il Cantone, in un Ticino che, anche a causa della sua particolare realtà, è il Cantone di gran lunga in testa alla graduatoria nazionale dei controlli. Un sì ci costringerebbe ad assumere fino a 160 nuovi ispettori e personale amministrativo, per un costo annuo in grado di raggiungere i 18 milioni. Questo significa avere un approccio sprezzante nei confronti dei cittadini contribuenti e ignorare un concetto elementare della politica pubblica: le risorse non sono infinite. La risposta alla necessità di avere più posti di lavoro e meglio retribuiti, sarebbe così l’assunzione di personale statale in aggiunta a quello esistente. Così l’unico datore di lavoro che dovrebbe darsi una regolata, e che vede i salari da lui erogati che corrono senza criteri legati alla professione e alla professionalità, grazie ad inarrestabili automatismi, in un sol colpo gonfierebbe il suo apparato. Senza che questo passo sia in grado di portare il minimo valore aggiunto al tessuto economico cantonale. Quest’ultimo necessita certamente di ben altro, non di un apparato che gonfia lo Stato e finisce per soffocare le piccole e medie imprese. E poi, sotto sotto, si constata una certa disonestà nell’approccio di un’iniziativa che fa credere che il Ticino sia una sorta di terzo mondo o Far-West. E invece non è così e sui controlli non siamo secondi a nessuno. Il tasso di verifica delle aziende da noi oscilla tra il 25-30%, quando l’obiettivo federale parla del 2-5%. E le irregolarità riscontrate sono molto basse e spesso di facile soluzione. Non c’è un tessuto economico dedito per missione ideologica al dumping, come tendono a far credere gli iniziativisti cavalcando il subdolo sospetto su tutto e su tutti. Brutta bestia davvero la malfidenza come credo politico. Proseguire sulla via imboccata nel 2016 è quanto di più ragionevole si possa immaginare in questo momento, consci che non significa lassismo, bensì misura e assenza di accanimento per partito preso. Della serie: «Voi siete disonesti e noi vi massacreremo».
Così non si fa e avallare questa regola genererebbe un rapporto basato sul sospetto e non sulla fiducia, con uno Stato in formato «Grande fratello»: l’equazione «più controlli, meno dumping» alberga solo nella mente di chi non sa cosa significa fare impresa, versare stipendi alla fine del mese e districarsi, giorno dopo giorno, nella savana (questa volta sì) di leggi, regolamenti e misure, ahinoi, davvero vessatorie. Ben venga uno Stato giustamente severo con chi sbaglia, ma senza mai esagerare, in primis senza costituire un esercito per controllare tutti e ficcare in naso nelle aziende prima e nella vita dei cittadini poi. Non facciamo del Ticino, dove il sacrificio è già all’ordine del giorno per imprenditori e salariati, un gigantesco ufficio controlli.

