L'editoriale

Le immagini del degrado di una storia finita male

Destano un senso di ribrezzo le immagini che testimoniano lo stato di degrado in cui versava il centro autogestito dell’ex Macello il 29 maggio dello scorso anno
Paride Pelli
01.06.2022 06:00

Destano un senso di ribrezzo le immagini che testimoniano lo stato di degrado in cui versava il centro autogestito dell’ex Macello il 29 maggio dello scorso anno, giorno dello sgombero. Le fotografie sono circolate nelle ultime ore e oggi le pubblichiamo su questo giornale e sul sito del Corriere del Ticino come prova tangibile che la situazione in loco era diventata ingestibile. Le istantanee sono un pugno nello stomaco, se si pensa a quelle persone – pochissime, per fortuna - che all’interno della struttura trascorrevano la loro vita o a coloro che anche solo saltuariamente frequentavano spazi così sudici. Quell’edificio già pericolante e pericoloso, oggi ne abbiamo la riprova, era del tutto inadeguato a ospitare un centro sociale o qualsivoglia altro ritrovo o, peggio, famiglie con bambini. E va da sé che la responsabilità per un simile degrado è innanzitutto di coloro che avrebbero dovuto prendersi cura di quegli spazi sì vetusti ma destinati, almeno nelle loro velleità e nelle loro pretese, ad accogliere persone, artisti, performance, dibattiti culturali e in generale una socialità alternativa e promettente.

Ma attenzione: detto questo non si può e non si vuole certo sollevare la politica dalle proprie mancanze: fin da subito le autorità cantonali e gli Esecutivi luganesi che si sono succeduti in oltre vent’anni avrebbero dovuto stabilire e comunicare, senza sconti né accomodamenti, che l’ex Macello era e doveva restare (al massimo) una soluzione logistica transitoria. Si è preferito, invece, rimpallarsi le responsabilità, chiudere un occhio se non due e lasciar consolidare l’idea, sbagliatissima, che tutto sommato il centro sociale poteva accamparsi in quel luogo sine die, oltretutto tra schiamazzi e rumori che hanno reso invivibile la situazione anche per gli sfortunati vicini di casa.

Ma è inutile girarci intorno. Se si è arrivati a tal punto, a quello che le fotografie oggi documentano in modo così spietato, è anche e soprattutto per il fatto che l’autogestione fin qui non si è mai voluta sedere al tavolo del dialogo e delle trattative, accontentandosi di una catapecchia fatiscente pur di fare i propri comodi senza essere troppo disturbata dall’esterno, spesso vivendo oltre i limiti della legalità. Che l’ex Macello fosse perimetro di un gruppetto di «eletti» e off limits per le istituzioni (perfino per la polizia) è risaputo, che all’interno le condizioni igieniche fossero repulsive, pure si sapeva, anche se probabilmente non fino a questo drammatico punto.

In questo contesto altamente problematico le parti avrebbero dovuto evitare di irrigidirsi ciascuna sulla propria posizione e seguire entrambe, invece, quel buon senso che ci spinge a mettere mano ai problemi senza farne bandiere politiche. Così tuttavia non è stato, e alla fine si è arrivati allo sgombero e al discusso abbattimento. Ma le immagini non mentono: in quel contesto non si faceva (non si poteva fare!) «cultura dal basso», come qualcuno l’ha definita. Era soltanto una cultura che aveva toccato il fondo. Resta tuttavia il problema, tuttora irrisolto per la città, di destinare spazi ai giovani per un’autentica offerta culturale alternativa. Restiamo insomma in attesa di una soluzione condivisa, capace di mettere una pietra sopra questo capitolo della storia luganese decisamente da dimenticare.

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