L’editoriale

Le notizie sul rincaro, le reazioni dei mercati

Giovedì scorso si è saputo che l’inflazione USA in ottobre si è fermata al 7,7% su base annua, percentuale ancora alta ma non come l’8,2% di settembre, comunque lontana dal picco del 9,1% di giugno
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
16.11.2022 06:00

Per un’ampia parte dei media e degli analisti le buone notizie hanno spesso minor peso delle cattive notizie. È stato così anche per alcune buone notizie economiche emerse in questi giorni, che non hanno avuto nel complesso adeguato risalto. Giovedì scorso si è saputo che l’inflazione USA in ottobre si è fermata al 7,7% su base annua, percentuale ancora alta ma non come l’8,2% di settembre, comunque lontana dal picco del 9,1% di giugno. Dopo l’annuncio le Borse sono salite molto, quella di New York in particolare ma anche, seppur non nella stessa misura, quelle europee; il rialzo è poi proseguito nei giorni successivi, anche se non con altrettanta forza. Il dollaro USA è invece sceso nettamente, non solo su una moneta forte come il franco ma anche sull’euro, che non è al suo meglio. Ciascuno di questi elementi ha contenuti positivi, che non devono portare a cantar vittoria ma che neppure devono essere sottovalutati. La perdita di velocità dell’inflazione negli USA è frutto sia del rallentamento economico complessivo, sia di un inizio degli effetti dell’azione contro il rincaro e in particolare degli aumenti dei tassi di interesse. Un’inflazione meno alta è positiva in sé, perché riduce le incertezze sui consumi e sugli investimenti, ma lo è anche perché apre varchi alla possibilità che l’azione delle banche centrali possa essere meno intensa. Azione meno intensa non significa, beninteso, che non ci saranno più rialzi dei tassi. Le banche centrali sono arrivate in ritardo a questa azione, ora interrompere tutto sarebbe un errore. Sia perché ci sono aree e Paesi, come ad esempio l’Eurozona e il Regno Unito, dove l’inflazione non ha sin qui rallentato; sia perché anche in Paesi come gli USA e la Svizzera (3% il mese scorso), dove invece ha frenato, c’è ancora da fare. Si può agire con più mediazioni, adattare i tempi e i modi nelle diverse situazioni, senza fermare i rialzi. Le Borse hanno spesso una doppia faccia per quel che riguarda i tassi. Da un lato gli operatori si rendono conto che combattere l’inflazione elevata è necessario; dall’altro mantengono antipatia per i tassi più alti, che alzano il costo del denaro. L’esperienza mostra che alla fine i mercati digeriscono i rialzi dei tassi, purché non superino i limiti. Quando compare però qualche spiraglio che potrebbe portare ad azioni meno forti sui tassi, le Borse esprimono soddisfazione. Occorre ricordare che, nonostante le marcate tensioni geopolitiche (è auspicabile che dal G20 di Bali escano altri spiragli, ma la strada non è breve) e nonostante il rallentamento economico internazionale (che peraltro non è detto diventi recessione mondiale), l’indice borsistico mondiale in dollari MSCI ACWI ieri era a -16% rispetto a un anno prima e il principale indice svizzero, lo SMI, era a -11%. Non è mai piacevole essere in negativo, ma se si rimanesse più o meno a questi livelli, o ancor più se ci fosse qualche altro miglioramento, i danni per l’anno borsistico sarebbero alla fine meno ingenti rispetto a quanto da molti previsto. E ciò va detto considerando anche che nei tre anni precedenti ci sono stati rialzi consistenti, con picchi a fine 2021. Il ribasso del dollaro è pure legato ad aspettative su tassi USA che forse saliranno un po’ meno del previsto. La valuta americana aveva peraltro guadagnato parecchio terreno nell’ultimo anno. Un suo parziale ridimensionamento potrebbe permettere un maggior equilibrio non solo nel mercato valutario ma anche più in generale in campo economico. Una discesa non eccessiva del biglietto verde potrebbe cambiare non di molto i meccanismi import-export e nel contempo potrebbe però dare più respiro ai Paesi che sono indebitati in dollari. Anche questa è dunque per ora una buona notizia, che dovrà trovare, come le altre, conferme nei prossimi mesi.