L'editoriale

Le offese inventate dei censori postumi

Ormai bisogna stare molto attenti a cosa si legge soprattutto se si ha la malaugurata idea di scegliere un’opera che possa anche soltanto lontanamente essere etichettata come problematica dalla imperante ortodossia degli incolti e occhiuti censori postumi
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
03.03.2023 06:00

Forse non serviva nemmeno che ce lo spiegassero gli autorevoli esperti di Nature. Basta avere quel minimo di curiosità intellettuale per guardarsi intorno con un po’ di passione per le idee quand’ecco che il sospetto di attraversare una fase storica in cui il pensiero creativo segna il passo, prima o poi, fa inevitabilmente capolino. Ovvio che i dotti articolisti britannici si arrovellino soprattutto intorno alla Scienza e alla Filosofia ma anche in materia di Arte, Musica, Cinema o Letteratura non è che ci sia troppo da stare allegri. Tra rimasticature, riletture, rivisitazioni, permutazioni, omologazioni e omogeneizzazioni varie, sembra davvero che la creatività, intesa come originalità dirompente e di valore, sia in preoccupante declino. Per molte ragioni e sotto molti punti di vista. In attesa di scoprire se si tratta di un affanno momentaneo o del sintomo di un cronico declino ci si potrebbe allora illudere di trovare qualche consolazione nell’immenso patrimonio culturale che, piaccia o meno, ci eravamo convinti di avere ben saldo alle nostre spalle. Insomma, detto altrimenti, la musica di oggi non mi soddisfa? Posso sempre ascoltarmi Beethoven. Trovo insipida l’arte contemporanea? Pazienza, mi rifaccio gli occhi con Caravaggio o, ancora, mi annoia l’insulsa marea di gialli e thriller mediocri che invadono le librerie? Mi dedico beato alla (ri)scoperta di un bel classico, uno di quelli che fanno parte (o meglio dovrebbero fare parte) del nostro bagaglio culturale collettivo. Macché! Ormai bisogna stare molto attenti a cosa si legge soprattutto se si ha la malaugurata idea di scegliere un’opera che possa anche soltanto lontanamente essere etichettata come problematica dalla imperante ortodossia degli incolti e occhiuti censori postumi. Tra i quali entrano trionfalmente di diritto i deliranti propugnatori dei cosiddetti «trigger warning», che altro non sono se non degli avvisi cautelativi da premettersi ai capolavori della Letteratura (occidentale ovviamente, serve specificarlo?) per mettere in guardia l’incauto lettore, spesso uno studente visto che parliamo, per ora, soprattutto di ambienti accademici sulle due sponde dell’Atlantico, dalle devastanti conseguenze che potrebbero derivare dalla conoscenza di quel particolare e nefandissimo testo. Insomma, un po’come per le sigarette: un terrorizzante messaggio per mettere in guardia (e scaricare qualsiasi eventuale responsabilità in sede giudiziaria) dai rischi «per la salute mentale» insiti in opere, secondo lorsignori, «potenzialmente offensive».

Così, senza colpo ferire, pochi giorni fa a Glasgow è stato messo all’indice l’Ulisse di Joyce mentre nei più prestigiosi ambienti accademici sono da tempo corredati di minacciosi trigger warning, in quanto pericolosamente razzisti, Ivanhoe di Walter Scott, Robinson Crusoe di Daniel Defoe e I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, Il vecchio e il mare (perché «maschilista»). Mentre i Sonetti di Shakespeare, Il grande Gatsby e i Racconti di Canterbury o La signora Dalloway di Virginia Woolf si possono (bontà loro) leggere tenendo però ben presente che si tratta «di prodotti della cultura bianca occidentale» (ma dai???) e l’Università di Northampton si è premurata di avvertire gli studenti che persino 1984 di Orwell potrebbe risultare «offensivo e sconvolgente». E questo per rimanere alle opere in inglese. Ci sarà da ridere quando gli zelanti censori scopriranno, che so, una Madame Bovary o l’esistenza di un canone letterario europeo fondato sulla Commedia, sul Decameron e sui morbosissimi e violentissimi sposi manzoniani. In una recente intervista il sociologo inglese Frank Furedi constatava con amarezza che ormai con questi criteri postumi e superficiali praticamente ogni opera letteraria del passato possa essere etichettata come offensiva e potenzialmente dannosa per la salute e che presto potremo leggere con la coscienza in pace solo gli elenchi del telefono. Li pubblicano ancora vero?