L'editoriale

Le pensioni, terreno di scontro generazionale

Per le attuali generazioni, la prospettiva di vite lavorative più lunghe e rendite pensionistiche più basse è più una certezza che una possibilità remota – I sistemi pensionistici saranno messi sotto pressione dalla carica degli ultimi boomer
Generoso Chiaradonna
22.05.2023 06:00

La durata della vita media, ci dicono le statistiche almeno per la parte di mondo socialmente ed economicamente sviluppato al quale appartiene la Svizzera, si sta allungando. Ed è un bene. Vivere più a lungo e possibilmente in salute è una conquista della modernità e indice di progresso. Un lusso che generazioni precedenti alla nostra, in altri momenti storici, non hanno potuto permettersi. E sempre in riferimento a coloro che ci hanno preceduti, gli attuali senior o quelli in procinto di diventarlo stanno invecchiando talmente bene che sono diventati oggetto di attenzione degli specialisti del marketing al pari dei più giovani Millennial o della Generazione Z. Anzi, sono studiati e segmentati in misura maggiore rispetto alle altre categorie demografiche per un motivo molto semplice: sono più numerosi e con una capacità di spesa maggiore rispetto a quella di figli e nipoti.

Per il mercato dei beni e dei servizi sono il futuro. Parlano i messaggi pubblicitari su giornali e TV. Non c’è ambito commerciale ed economico che non abbia pensato a prodotti per i senior. Si va dalle vacanze, ai servizi finanziari passando a quelli dei centri fitness fino alle residenze per anziani più o meno autonomi. Insomma, si nasce homo oeconomicus e lo si rimane – reddito e salute permettendo – per tutto il resto della vita.

Per le attuali generazioni e quindi per i futuri anziani, la storia potrebbe essere molto diversa. L’allungamento della vita non significherà più tempo dedicato al consumo o all’impegno sociale e culturale, ma al contrario – digitalizzazione e robotizzazione permettendo – alla produzione. La prospettiva di vite lavorative più lunghe e rendite pensionistiche più basse è più una certezza che una possibilità remota. A dircelo, prima ancora della sostenibilità finanziaria degli enti previdenziali è la demografia.

La famosa piramide della popolazione non è più tale da parecchio tempo. La base si è assottigliata e fa fatica a supportare le generazioni precedenti. Quella dei babyboomer, la più numerosa, identificata con i nati tra il 1945 e il 1964 o è appena andata in pensione o sta per andarci. Nel prossimo decennio il mercato del lavoro conoscerà una trasformazione epocale con un esodo quasi biblico di lavoratori in procinto di godersi dopo anni di fatica la meritata quiescenza. I primi segni si vedono già oggi con interi settori economici che fanno fatica a rimpiazzare la manodopera partente. E questo sta succedendo in Svizzera, come in Ticino o nel resto d’Europa.

I sistemi pensionistici saranno messi sotto pressione dalla carica degli ultimi boomer. In Francia, per esempio, la decisione d’imperio di aumentare l’età pensionabile minima da 62 a 64 anni ha scatenato una protesta sociale che stenta a essere riportata negli argini della normale dialettica democratica tra interessi contrapposti. In questo caso tra chi è vicino all’agognato traguardo e lo vede spostato più in là e chi è talmente lontano che neanche ci spera più in una rendita dignitosa. Anche nel piccolo Ticino la riforma dell’Istituto di previdenza cantonale (siamo nel campo dell’insegnamento e dell’impiego pubblico) sta creando malumori e conflitti striscianti tra le generazioni: tra chi in passato ha potuto beneficiare di ottime prestazioni e chi invece sa che così non sarà e chiede che valga per lui quanto promesso a chi lo aveva preceduto. Una soluzione si troverà, certo. Lo Stato è pur sempre un ottimo datore di lavoro. Rimarrà però latente il conflitto generazionale nel resto della società che non è fatta solo di impiego pubblico.