L'editoriale

L’eterna utopia di unire le forze

Dal varo del «progetto anguria», rossi dentro e verdi fuori (e con i semi neri), all’ambizioso obiettivo di unire la sinistra tutta: quella classica, quella ecologista e quella radicale
Gianni Righinetti
03.11.2025 06:00

Dal varo del «progetto anguria», rossi dentro e verdi fuori (e con i semi neri), all’ambizioso obiettivo di unire la sinistra tutta: quella classica, quella ecologista e quella radicale. Mentre quella «moderata» e riformista sembra non essere considerata stando alle linee guida mostrate dal vertice di PS, Verdi e MpS. Socialisti ed ecologisti sono ormai sostanzialmente una sola cosa a livello di Gran Consiglio, dopo che alle elezioni del 2023 si sono volutamente spartiti le cadreghe che contano. Marina Carobbio è entrata in Governo dalla porta principale, protagonista di una corsa in solitaria senza antagonisti d’area, mentre Greta Gysin nell’ultima tornata di elezioni federali ha ottenuto la conferma dello storico seggio conquistato da lei e dal suo partito nel 2019, l’anno dell’ondata rossoverde a livello federale. Negli scorsi giorni il terzetto di sinistra si è seduto per la prima volta allo stesso tavolo per dibattere di strategie politiche e lo ha fatto nel corso di una serata pubblica. Un plauso al co-presidente del PS Fabrizio Sirica, alla co-coordinatrice del Verdi Samantha Bourgoin e all’esponente dell’MpS Matteo Pronzini. Quel tavolo di discussione non era per nulla scontato e mettersi in gioco così, in trasparenza, merita una sottolineatura. Mai, e ribadiamo, mai, a destra si è visto qualcosa di simile. Tra Lega e UDC, in attesa di scoprire cosa accadrà per il 2027, esiste da alcuni quadrienni un «matrimonio d’interesse» che si accende e si spegne a dipendenza della reciproca convenienza elettorale. Ma un confronto al tavolo davanti a una platea con ingresso libero non si è mai visto. Anche perché, è risaputo, i leghisti hanno ormai abbracciato la democrazia trasparente delle porte chiuse. A stimolare un accordo a sinistra è stato l’MpS, forza condotta dall’ideologo Giuseppe Sergi e impersonata dal braccio armato Matteo Pronzini, che lo scorso maggio hanno lanciato ai rossoverdi la proposta di un’ampia intesa d’area. I semi sono stati gettati, ma non è scontato che germogli qualcosa, perché le differenze tra i rossoverdi e l’estremismo del piccolo partito movimentista sono profonde. In primis a livello di approccio. Fatte le debite proporzioni il PS classico è quasi moderato nei toni e nelle azioni rispetto alla coppia di bellinzonesi, i Verdi paiono sfuggenti e invisibili a livello di opinione pubblica, al punto che talvolta si fa sentire di più l’azione di qualche costola ecologista, come quella presente nel PLR, rispetto al loro silenzio. Se la copia supera l’originale è perché quest’ultimo ha alzato bandiera bianca e ammainato da tempo quella verde. Ma la «cagnara» inscenata sempre da «Pronzini & Co.» non è garanzia di successo alle urne. Nella stagione politica 2019-2023 i due di baccano ne hanno fatto parecchio, ma poi hanno perso un seggio: da 3 a 2. In discesa di una unità ciascuno pure il PS e i Verdi, con questi ultimi che, di questo passo, rischiano di restringersi sotto la soglia che permette di essere considerati «gruppo parlamentare» e partecipare all’assegnazione dei seggi nelle commissioni. Lungi da noi insinuare che l’idea di ampie intese poggi su una questione di mero interesse elettorale come quella del numero dei seggi nel Legislativo, ma si sa, «a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina». Detto che tra PS e Verdi il lavoro è quotidiano, l’arrivo nella coppia dell’MpS promette scintille, perché come ci aveva dichiarato solo pochi mesi fa la stessa Bourgoin a proposito dell’MpS: «È incredibile, non riescono a non essere protagonisti». Nulla sembra essere cambiato. In un pollaio non ci sta più di un gallo e la leadership comunicativa è difficilmente condivisibile. C’è chi la esercita e chi segue a ruota o finanche chi la subisce. Ma non è immaginabile che qualcuno la scippi a un alleato. Altrimenti il castello crolla. Diamo merito alla sinistra di tentare un dialogo, ma è troppo presto per cantare vittoria per quella che sarebbe un’alleanza dal sapore di sistema maggioritario, in attesa che Lega-UDC si determinino e nella certezza che al centro non ci sarà un processo d’avvicinamento di questo genere tra PLR e Centro. Mentre invece i rumors danno il partito di Fiorenzo Dadò flirtare con quello di Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro). Siamo al più classico «chi vivrà vedrà», ma innegabile è il fatto che senza alleanze e collaborazioni fattive, non si andrà da nessuna parte. E questo vale in senso elettorale, ma ancor di più in senso concreto, quello legato alla politica dei fatti. Con le parole, la situazione a sinistra è paradigmatica in questo senso, si generano delle tensioni che poggiano sul mettersi in mostra. E così diventa tutto una «mission impossible».