L'editoriale

Letteratura, umanità e algoritmi manichei

Il recente Salone del Libro di Torino almeno uno spunto culturalmente meritevole ha saputo piazzarlo davvero
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
28.05.2025 06:00

Qualche volta un guizzo lo regalano ancora. Non siamo certo tra gli estimatori delle ipertrofiche e mastodontiche kermesse editoriali (definizione che già mal dispone di per sé) come la Buchmesse, Bookcity, London Book Fair e rumorosa compagnia pubblicante ma stavolta bisogna ammettere che il recente Salone del Libro di Torino almeno uno spunto culturalmente meritevole ha saputo piazzarlo davvero. D’altronde, quando nella pletora di «ospitoni» e «ospitucci» più o meno svogliatamente convocati dalle case editrici per promuovere il proprio ultimo, imprescindibile, prodotto cartaceo si ha l’accortezza di invitare qualcuno che ha qualcosa di intelligente da raccontare ecco che, all’improvviso, anche il più noioso e superfluo dei festival letterari può trasformarsi in un appuntamento memorabile.

È stato il caso della Lectio (per una volta autenticamente «magistralis») con cui la scrittrice e drammaturga francese Yasmina Reza ha inaugurato un paio di settimane fa la manifestazione piemontese, spiegando con raffinata ironia, o meglio alludendo senza quasi spiegare, il ruolo e il valore della letteratura in un mondo che, se da sempre si interroga su questi argomenti, oggi sembra aver deciso semplicemente di fregarsene, impantanato com’è nella palude del rimbambimento digitale. Intitolata sardonicamente «Vediamo un po’…» cui dovrebbe seguire una fragorosa risata (la ben nota risata della catastrofe, come l’ha definita Yasmina Reza) la prolusione torinese (di cui invitiamo caldamente a recuperare il testo integrale) ha sorpreso un po’ tutti per originalità e acutezza. Non perché l’autrice, dal potente Il dio del massacro al recente La vita normale, non ci abbia abituato a straordinarie riflessioni sull’umanità contemporanea, da un palco, da uno schermo o dalle pagine di un libro, ma perché stavolta ha avuto il coraggio (non che gliene sia mai mancato in realtà) di andare oltre alcuni stereotipi che troppo spesso ammorbano il dibattito culturale. Perché, in sintesi, Reza ha spiegato mirabilmente come, secondo lei, l’intento della letteratura non è psicologico, non fornisce modelli, esempi, valori o disvalori. D’altro canto, anche nelle sue opere non vi è nessun tentativo di rintracciare il senso della vita. Come ha detto Reza a Torino: «Il personaggio di carta - preferisco dire di carta piuttosto che inventato, perché non sempre è inventato - non è un modello. Non dev’essere edificante». E la grandezza dell’opera di Reza sta proprio nel riuscire a trasportare nei «personaggi di carta» ciò che è così umano ma così drammaticamente perturbante e che rende l’esistenza imperfetta e la letteratura e l’arte così ricca e così «vera».

Ma soprattutto, e questo nessuna intelligenza, chiamiamola «non umana», saprà mai imitarlo, la letteratura è un modo sublime e inarrivabile per sondare la nostra irrimediabile imperfezione, le nostre contraddizioni, le nostre fragilità e dunque la nostra profonda e autentica umanità nell’infinita miseria che è anche la sua massima grandezza. Ecco perché oggi più che mai i libri sono tanto odiati, temuti e snobbati: perché rivelano i pori sulla faccia della vita e dimostrano che il mondo non è rigidamente binario, che non ci sono sempre da una parte il bene e dall’altra il male, tutta la ragione di qua e tutto il torto di là. E questo nell’anodina e semplificante realtà digitale sta diventando scomodo o addirittura inaccettabile. L’algoritmo è manicheo, le vie della letteratura sono invece misteriose e imperscrutabili e non sono obbligate a fornire assunti morali bensì, se si collocano nell’imperfetto universo umano, a suscitare sempre nuovi dubbi e interrogativi. In una delle sue considerazioni intorno all’arte del romanzo, il ceco Milan Kundera, una vita a combattere ogni forma di totalitarismo, scriveva che «l’uomo sogna un mondo in cui il bene e il male siano nettamente distinguibili, e questo perché, innato e indomabile, esiste in lui il desiderio di giudicare prima di aver capito. Su questo desiderio sono fondate le religioni e le ideologie». La letteratura è qualcos’altro, di inutile forse, ma sicuramente di indispensabile alla nostra natura.