L'editoriale

L'improvvisa solitudine di Zelensky e dell'Ucraina

Anche l’orrore ha la sua normalità che scivola via dai nostri occhi, eppure si muore nelle trincee come nei primi mesi del conflitto
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
23.09.2023 06:00

Il tempo dall’emotività è finito da un pezzo. Lo sguardo dei mezzi d’informazione sulla guerra in Ucraina si è fatto più raro e distante. L’opinione pubblica appare ormai distaccata. Anche l’orrore ha la sua normalità che scivola via dai nostri occhi. Eppure si muore nelle trincee come nei primi mesi del conflitto, i civili restano un bersaglio quotidiano degli invasori russi. E, soprattutto, le ragioni per difendere un popolo (non il suo governo) aggredito da Mosca, rimangono sul piano dei principi intatte. Ciò nonostante, la sensazione che l’Ucraina sia più isolata ha ricevuto in questi giorni ulteriori conferme dopo quello sciagurato comunicato del G20 che, parlando della guerra, non citava nemmeno la Russia.

Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha annunciato l’interruzione degli aiuti militari ai «fratelli ucraini», più volte definiti come tali e generosamente accolti. La scusa è quella che Varsavia deve pensare alla propria difesa e si doterà di sistemi d’arma più moderni. La mossa ha il sapore della propaganda. In Polonia si vota il 15 ottobre e il Partito della legge e della giustizia (Pis) teme di perdere il sostegno più prezioso: quello delle campagne. Gli agricoltori polacchi sono imbufaliti dalla concorrenza dei cereali ucraini che viaggiando faticosamente via terra - specie dopo la fine dell’accordo con la Russia sul commercio marittimo - vengono svenduti, strada facendo, per il timore di non esportarli in tempo. Le quotazioni ne hanno risentito. Una concorrenza sleale. Va bene sostenere Kiev ma non al prezzo di mandare sul lastrico i coltivatori polacchi. Il rivale di Morawiecki, l’ex presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, ha sostenuto che Zelensky è stato colpito con un coltello alla schiena. Un’esagerazione elettorale anche questa. Il flusso degli aiuti internazionali, assicurato finora da 54 Paesi, continua a passare per i centri polacchi. L’alleanza regge e forse riprenderà con più vigore - economico e militare - dopo il voto.

Il presidente ucraino, nell’ultimo viaggio americano in occasione dell’assemblea dell’Onu, ha potuto assaggiare anche le difficoltà e le asperità di un’altra ben più importante campagna elettorale che presto entrerà nel vivo, quella per la Casa Bianca. Che differenza rispetto alla visita del dicembre scorso quando venne accolto con diverso calore e solidarietà. L’opposizione repubblicana, soprattutto trumpiana, gli ha impedito di parlare al Congresso in seduta comune. Una lettera firmata da 23 deputati e 6 senatori ha criticato la scelta del presidente di appoggiarlo senza condizioni. Lo speaker della Camera, Kevin McCarter, si è detto contrario all’approvazione di altri aiuti quest’anno. Biden ha comunque assicurato un pacchetto da 325 miliardi per nuove e importanti armi, essenziali per sostenere la controffensiva ucraina che registra qualche successo.

Gli Stati Uniti, che ormai all’Ucraina destinano l’8 per cento del bilancio della Difesa, ora chiedono qualcosa in più a Zelensky. Prima di tutto una rendicontazione maggiore sull’impiego degli aiuti specie dopo il licenziamento del ministro della Difesa ucraino e dei suoi vice. L’ombra della corruzione si è inevitabilmente allargata. E, in secondo luogo, una possibile via d’uscita diplomatica. Biden e Zelensky hanno parlato per quattro ore. In campagna elettorale il presidente non potrà cavarsela con un sostegno illimitato, come a inizio del conflitto. Dovrà indicare una soluzione praticabile. Il vero nemico degli Stati Uniti è la Cina. Non se ne può avere due. O perlomeno non li si può avere per troppo tempo.

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