L'incertezza blocca le assunzioni delle imprese

In Svizzera, la calma apparente del mercato del lavoro potrebbe presto rivelarsi un’illusione. A osservarne i dati ufficiali, il tasso di disoccupazione resta moderato – 2,8% a maggio a livello nazionale e 2,6% in Ticino – e apparentemente stabile. Venerdì di questa settimana saranno resi noti i dati di giugno, che dovrebbero confermare la tendenza alla stabilità. Ma, come spesso accade, sotto la superficie di acque calme si agitano correnti insidiose che rischiano di compromettere gli equilibri finora mantenuti con rigore e flessibilità. Le incertezze geopolitiche e le tensioni economiche internazionali (dazi in primis) stanno infatti inducendo molte imprese a fermarsi, aspettare e congelare eventuali piani di assunzione.
La parola d’ordine è quindi prudenza. Il clima generale è quello di una «pausa operativa»: non si assume, ma nemmeno si investe. Gli annunci di tagli agli impieghi si sono moltiplicati negli ultimi mesi, in Svizzera e in Ticino. Le aziende – grandi e piccole, pubbliche e private – stanno osservando un mondo che cambia rapidamente, e non necessariamente in meglio. Gruppi come TX Group (media), FFS Cargo (logistica), Julius Bär (banche), Postfinance e lo stesso Ufficio federale di statistica non fanno eccezione. Tagliano. Riorganizzano. Attendono.
In Ticino, nell’ultimo anno, sono stati quasi mille i tagli all’organico resi pubblici da varie aziende: da quelle della moda a quelle dell’industria meccanica e farmaceutica. L’ultima procedura collettiva nota in ordine di tempo è stata quella dell’agenzia di lavoro interinale Job Contact, con 122 licenziamenti annunciati a giugno. A questi si aggiungono i quaranta impieghi in meno presso FFS Cargo, sempre a giugno, ma anche quelli alla RSI. Questi ultimi sono numeri contenuti (nell’ordine della decina), che colpiscono perché toccano un’azienda di servizio pubblico ritenuta, nell’immaginario collettivo, estranea alla dinamica del mercato e quindi protetta a prescindere. Non è così: anche la RSI rientra nella più ampia crisi del settore dei media, generata anche dai cambiamenti generazionali e dalle mutate abitudini di consumo dell’intrattenimento TV e dell’informazione.
Si dirà: sono tutti casi particolari, che non intaccano per ora la solidità del mercato del lavoro svizzero. È vero. Giudicare la bontà di un fenomeno dal micro, per allargarlo a uno sguardo macro, può portare a conclusioni errate. Ma spesso l’esperienza concreta dà sostanza all’astratto. Una crisi aziendale locale, per esempio, può anticipare una crisi settoriale. Insomma, un punto di partenza, un campanello d’allarme su cui soffermarsi. Se, quindi, il dato grezzo sulla disoccupazione non è ancora un problema macro, controllando il numero assoluto dei disoccupati registrati a livello nazionale a maggio si nota che è aumentato del 21% rispetto a un anno fa: +22.479, per un totale di quasi 128.000 persone in cerca di lavoro. Restringendo lo sguardo a livello cantonale, l’aumento di chi cerca un impiego è stato pari, in un anno, a 463 persone (8.189; +6%). Il periodo di forte crescita dopo la pandemia di Covid è dunque finito, ha fatto notare nei giorni scorsi all’agenzia AWP Michael Siegenthaler, esperto del mercato del lavoro presso il KOF di Zurigo. Si profila quindi all’orizzonte una fase di stagnazione, se non di erosione. A pesare non sono solo gli indicatori macroeconomici, ma soprattutto l’incertezza globale, che spinge le aziende a rifugiarsi nella temporaneità: contratti a termine, mobilità interna, ristrutturazioni silenziose. Le previsioni della SECO e del KOF parlano chiaro: il tasso di disoccupazione è destinato a crescere, sia nel 2025 che nel 2026. Non in modo drammatico, ma inesorabile, sopra il 3%. Allo stesso tempo, permane il paradosso della carenza di manodopera specializzata in alcuni ambiti. Un’asimmetria tra domanda e offerta che interroga il sistema formativo, e quindi la politica.