Detto tra noi

Litigi e chiodi nel legno

Qualsiasi cosa noi facciamo di violento, anche solo verbalmente finisce per lasciare in chi lo subisce un qualcosa che, nonostante i successivi e spesso sinceri tentativi di porvi rimedio, rimarrà per sempre, condizionando il suo essere ma anche il suo rapporto con noi
Mauro Rossi
15.07.2022 06:00

In uno dei tanti inutili talk show televisivi di questa torrida estate, un altrettanto inutile tuttologo sosteneva un paio di giorni fa – probabilmente riferendosi alla rottura del rapporto sentimentale tra l’ex calciatore Totti e la consorte, evento divenuto in questi giorni più importante e meritevole di attenzione mediatica della siccità e della guerra – che per la salvaguardia di un rapporto, sentimentale ma anche di amicizia, è salutare ogni tanto qualche intensa lite. Sfogarsi, tirare fuori senza remore ciò che si ha dentro, spiegava citando addirittura una frase di papa Francesco, ha un grande valore terapeutico, aiuta a liberarsi e a rendere il rapporto chiaro, sgombro da ombre e equivoci e dunque più saldo, duraturo. In effetti è vero, dopo uno sfogo si ha, spesso, una sensazione di leggerezza, di libertà, come se ci si fosse liberati di un macigno che pesava sullo stomaco. C’è però un «ma». Ovvero il fatto che, a parte coloro che litigano davanti allo specchio, con una porta o con un albero del giardino (cosa che, a parte qualche indice di instabilità psichica, rischia di procurare dei danni collaterali tutt’altro da sottovalutare) normalmente queste diatribe si svolgono con un’altra persona che giocoforza finisce per subire questo nostro agire liberatorio.

A tal riguardo mi è tornato alla mente il racconto di quel padre che, di fronte ad un figlio incline ad eccessi di ira, gli diede un suggerimento: ogni volta che senti il forte desiderio di sfogarti prendi un martello e un chiodo e pianta quest’ultimo su un asse. Il figlio iniziò a seguire il consiglio paterno e già dopo il primo giorno aveva conficcato nel pezzo di legno una trentina di chiodi. Poi, iniziando piano piano a controllarsi, il numero delle punte piantate quotidianamente iniziò a diminuire, finché arrivò il momento in cui si rese conto che in quell’asse ormai chiodato, non sentiva più il bisogno di infilzare alcunché. Il padre allora gli diede un compito: iniziare a togliere, ad uno ad uno, i chiodi che con tanta foga aveva piantato nel legno. Il ragazzo diede il via all’operazione rendendosi conto di una cosa: che ogni punta che riusciva, spesso con fatica, ad asportare, lasciava nell’asse un segno. Alcune volte era un buco, in altri casi era semplicemente una piccola infossatura. Ma si trattava comunque di un segno che rimaneva, indelebile, nella struttura. Il ragazzo, capita la lezione, si rivolse al padre ringraziandolo per l’insegnamento ricevuto. Ovvero che qualsiasi cosa noi facciamo di violento, anche solo verbalmente – come nel caso di un «salutare» litigio – finisce per lasciare in chi lo subisce un qualcosa che, nonostante i successivi e spesso sinceri tentativi di porvi rimedio, rimarrà per sempre, condizionando il suo essere ma anche il suo rapporto con noi che, purtroppo, sarà segnato per sempre.