Lo sguardo divergente dell'Europa

Un occhio su Papa Francesco e le sue difficili condizioni di salute, l’altro sulla guerra in Ucraina e su una pace che sembra ancora tanto complicata. In questi ultimi giorni l’Europa sta vivendo così, in una sorta di sguardo divergente e pieno di preoccupazione, quasi smarrito. Se per giunta venisse a mancare - e il Cielo non voglia - il Pontefice, si perderebbe in un attimo il più importante promotore dei negoziati di pace sul fronte orientale. La diplomazia vaticana, infatti, fin dall’inizio del conflitto ha lavorato con discrezione e grande sensibilità sia a Mosca che a Kiev, molto più delle altre cancellerie occidentali. Le quali non sanno ancora che pesci pigliare, nonostante il presidente americano Donald Trump, con i suoi metodi spicci (eufemismo), stia finalmente aprendo una strada discutibile ma concreta verso le trattative per un cessate il fuoco e una pace, si spera, stabile e duratura. Anche a fronte di questa possibilità, la confusione resta grande sotto il cielo di Bruxelles, molto più di quanto lo sia a Washington. L’obiettivo comune di Stati Uniti e Unione europea dovrebbe essere, senza se e senza ma, la fine della guerra. Ma qualcosa, dal lato UE, sembra proprio non voler ingranare.
Che gli USA abbiano escluso i propri alleati NATO dalle trattative con Mosca, è sotto gli occhi di tutti. Trump ha preferito parlare direttamente a Putin ed entrambi hanno l’interesse a ridisegnare come vogliono le reciproche sfere di influenza nel Vecchio Mondo, con l’americano che vuole fare bella figura innanzitutto in patria. Il «peso della pace» (sociale, economico, politico) verrà scaricato sull’Ucraina, già in ginocchio, e sull’Unione europea. Ciò che davvero sorprende, è come quest’ultima stia procedendo in ordine sparso, senza riuscire a trovare una voce unica, chiara e distinta come quella che arriva dalla Casa Bianca. L’Europa non è compatta: non lo è, compatta, perché parla ancora, senza saperlo, il linguaggio degli Stati Uniti. Quando Elon Musk ha lanciato, a inizio febbraio, lo slogan MEGA, «fare grande l’Europa», anziché guardare sotto l’offerta politica del braccio destro di Trump, l’UE si è quasi lusingata. Tanto che l’altro ieri anche il ministro francese Haddad ha dichiarato che dopo l’«America first» del tycoon, ora è tempo di «Europa first». Slogan simili, troppo simili, come se l’Europa non sapesse (più) inventare un’idea politica propria. È ancora Washington che cerca, e paradossalmente ottiene, di dettare legge. Il vicepresidente americano JD Vance ha detto a chiare lettere, alla Conferenza di Monaco, che il versante europeo della NATO dovrà acquisire una maggiore autonomia, spendendo molto di più di tasca propria. Ma nessun alto politico europeo si è alzato a chiedere come mai, allora, la NATO non si debba sedere, tutta unita, al tavolo dei negoziati con Mosca. La congiuntura è complicata e delicata, nelle prossime settimane verrà ridisegnata parte della geopolitica europea: speriamo che a Bruxelles siano consci che c’è un treno che non si può e non si deve perdere.