L'editoriale

Locarno qualcuno dovrà pur sposarla

Prima o poi, nel Locarnese, qualcuno dovrà togliere il malocchio alle aggregazioni
Alan Del Don
23.04.2024 06:00

Prima o poi, nel Locarnese, qualcuno dovrà togliere il malocchio alle aggregazioni. Non si fa in tempo a parlarne che subito il destino di un progetto sembra segnato o, quantomeno, si fa tremendamente in salita. «Credevo di trovare terreno più fertile», ha confidato al Corriere del Ticino lo scorso 10 aprile, nell’ultima intervista da sindaco della Città, Alain Scherrer. Nei dieci anni quasi passati al timone le ha tentate tutte per condurre in porto un matrimonio sulle rive del Verbano. Il suo proverbiale ottimismo si è però scontrato con l’ostinata contrarietà a qualsiasi unione dei Comuni viciniori, camuffata dalla solita frase: «Al momento preferiamo continuare a puntare sulle collaborazioni».

Alla fine lo spasimante Locarno l’ha trovato in Lavertezzo. Dopo aver ottenuto la benedizione del Consiglio di Stato ad inizio anno, la Commissione di studio (presieduta dal nuovo uomo forte di Palazzo Marcacci, Nicola Pini) si è messa di buona lena con l’obiettivo, da un lato, di proseguire con gli approfondimenti interni alle due amministrazioni e, dall’altro, di coinvolgere attori e portatori di interesse presenti sul territorio. Nemmeno un mese dopo il comunicato congiunto, le elezioni del 14 aprile hanno rimescolato le carte. I rapporti di forza in seno al Municipio del piccolo Comune sono cambiati e il neoeletto sindaco Andrea Berri (della formazione «Per il paese», nomen omen…) ha già annunciato che non crede nell’unione con la Città. Ma che vuole piuttosto rilanciare il discorso con Gordola e Cugnasco-Gerra. 

La patata bollente torna dunque nelle mani del Governo, che nelle prossime settimane dovrà convocare le parti in causa per capire se vale la pena proseguire con questo progetto. Stando così le cose, infatti, i promessi sposi all’altare non ci arriveranno. In votazione consultiva la popolazione di Lavertezzo più che la marcia nuziale dovrebbe cantare il de profundis, considerando altresì le oltre 300 firme contro la fusione consegnate il 31 gennaio scorso.

Guardate, non facciamo parte della nutrita schiera dei superstiziosi, ma il 25 settembre prossimo saranno trascorsi 13 anni dalla bocciatura (da parte di cinque Comuni su sette: Brione sopra Minusio, Minusio, Muralto, Orselina e Tenero-Contra) dell’aggregazione della Sponda sinistra della Maggia. Solo Locarno e Mergoscia diedero luce verde all’iniziativa che per slogan aveva il motto «GrandInsieme». Pochi mesi dopo, il 20 novembre 2011, venne respinta pure la fusione della Sponda destra fra Ascona, Brissago, Ronco sopra Ascona e Losone (l’unico ente locale ad accoglierla). Per un lustro nessuno osò ritirar fuori dal cassetto lo spinoso dossier. Ci pensò il Dipartimento delle istituzioni a mettere sul tavolo la creazione di quattro comparti distinti (Lago, Città, Piano e Terre di Pedemonte). L’allora Esecutivo di Locarno andò addirittura oltre, cercando di coinvolgere ancora quasi tutti i Comuni della cintura.

Non andò bene. In un circolo che di virtuoso ha (finora) ben poco, rieccoci ai giorni nostri. Ai piedi della scala. E con l’interrogativo di fondo, sempre attuale: perché nessuno vuole aggregarsi con la Città? E sì che Bellinzona l’esempio l’ha dato. Anche all’ombra della Fortezza ci è voluto un po’ prima che l’unione si concretizzasse. Poi quando è successo sul carro sono saliti in 13 (avrebbero potuto essere 17). Nella capitale, a parte qualche inciampo, non si è rivelato un numero di cattivo augurio. Nicola Pini chieda consigli a Mario Branda: gli ci sono voluti cinque anni per veder nascere la Turrita e ce ne vorranno almeno altri 3-4 affinché riesca a camminare completamente sulle proprie gambe. Il timoniere di Locarno ha tempo tre legislature per imitarlo, nel frattempo potrebbe già essere realtà la fusione nel basso Mendrisiotto.