L’USI riparte in attesa di definire il post-Erez

Inizia oggi, per l’USI, il primo anno accademico del post-Erez. Inizierà come sono iniziati tutti gli anni prima di questo. Con tanti nuovi studenti, con un’aria viziata di ambizioni e curiosità. Che cosa diventerò mai? Che cosa - chi - voglio essere? L’università è scoperta, è l’oggi per il domani, un presente di costruzione e dubbi in vista di un futuro posto nel mondo. Questo vale con o senza Erez. Ma se ne parliamo, se c’è tanta attesa attorno al nome del suo successore, be’, forse un ragionamento va comunque speso. Boas Erez ha lasciato, all’USI, un’eredità. Così come l’ha lasciata al territorio in cui l’USI è inserita. Che tipo di eredità? È una questione di punti di vista, anche politici, forse sempre più politici, data la campagna che sta per affrontare il diretto interessato. Quel che è certo è che - sul pur discusso confine tra un approccio personale politico e uno politicizzato - ha saputo portare l’USI al centro del dibattito pubblico. E ora può risultare interessante, per l’istituzione, tutto questo interesse nei propri confronti. Possiamo anche arrivare a dire che l’USI, ateneo che ancora dimostrava tutta la sua giovinezza, abbia oggi l’opportunità di entrare in una nuova dimensione. I numeri parlano a favore di questa evoluzione. Secondo i dati registrati lo scorso 12 settembre, i nuovi immatricolati sono 1.215. Non è un record ma - mentre ancora si aggiungono nuovi iscritti - è un risultato appena inferiore a quello dello scorso anno, quando i nuovi immatricolati erano stati 1.309, e comunque superiore al 2020-2021. Facile intuire che i campus, questa mattina, si presenteranno pieni come mai erano stati. Pieni di studenti provenienti da nazioni sempre più diverse. Una tendenza all’internazionalità sospinta anche dallo stesso Erez.
In questa situazione di attesa, in qualche modo rasserenata da Lorenzo Cantoni che, nel suo interinato, ha preferito porre l’accento sugli aspetti puramente accademici - un’eccezione al concetto secondo cui «tutti vogliono costruire e nessuno vuole fare manutenzione» (cit. Kurt Vonnegut) -, c’è un dubbio: che quanto accaduto possa spingere l’opinione pubblica verso un pregiudizio, ovvero a pensare che verrà scelto un successore fantoccio. Sì, insomma, una figura che faccia, semplicemente, dormire sonni tranquilli ai membri del Consiglio dell’Università. Una figura meno ingombrante, meno libera - Erez è stato una e l’altra cosa -. Non crediamo a questa ipotesi. Non possiamo farlo alla luce dei termini - oltre che dell’iter - del concorso, in particolare di quel passaggio: «La persona nominata sarà responsabile per il successo dell’istituzione nell’insegnamento a tutti i livelli, nella ricerca e in generale nella missione dell’USI, incluso l’impatto positivo sull’economia, sulla cultura e sulla società».
Si parlava anche di «una visione ambiziosa e innovativa per il futuro dell’USI». La nuova rettrice o il nuovo rettore dovrà essere allora una personalità dotata di coraggio e soprattutto di libertà. Una libertà che dovrà consentire all’istituzione di fare un ulteriore passo in avanti. Ma di farlo dopo una fase di doverosa stabilizzazione. Lo stesso Cantoni parlava di un’università che era sì caduta, ma che avrebbe avuto la forza di rialzarsi e di continuare a camminare, a correre. Una forza di cui non dubitiamo, proprio alla luce dei numeri elencati sopra. Ma una forza che va costantemente alimentata. Un’università oggi, d’altronde, non può più essere pensata come una fonte, inaccessibile, di cultura calata dall’alto, piuttosto come un luogo aperto allo scambio continuo, un luogo dinamico e pronto ad accogliere le sfide dei propri tempi. Un rettore, in questo senso, può molto ma non tutto. Citando Yves Flückiger, presidente di swissuniversities, un rettore può mobilitare le energie della comunità universitaria verso un futuro ideale. Non deve però dimenticare di interfacciarsi con gli altri, con il mondo accademico e con quello politico.