L'editoriale

Ma di quali interessi stiamo parlando?

LALIA: un tasso d’interesse per il versamento di contributi a un ente pubblico è giusto?
Giuliano Gasperi
04.09.2023 06:00

Interesse pubblico: un accostamento di parole che solitamente evoca un senso di comunità, di coesione, di protezione da altri interessi che non farebbero il bene collettivo. Emozioni positive, insomma. Le stesse due parole suonano invece sinistre nel dibattito sui contributi LALIA per i lavori alle canalizzazioni di Lugano, dove l’interesse applicato dall’ente pubblico sui pagamenti rateali è al centro di una polemica nella polemica. Parentesi matematica: se un proprietario deve pagare 10.000 franchi e chiede di poterlo fare in dieci anni, con il tasso del 5% previsto dalla legge attuale, alla fine, dovrà versare interessi per 2.330 franchi. Una legnata.

La Città ha cercato di attenuarne l’impatto azzerando l’interesse per chi deve versare importi fra 1.000 e 5.000 franchi e riesce a farlo ratealmente in meno di due anni: uno sconto in deroga alla legge – diciamo pure in violazione della legge, anche se è improbabile che qualche autorità venga a protestare in piazza della Riforma – che il Municipio ha voluto limitare a una categoria di proprietari ritenuta meno abbiente di altre. Qualcuno rimarrà scontento, ma questa soluzione, al netto di possibili strascichi elettorali, sembra essere davvero la chiusura del cerchio per un dibattito che dura ormai da tanto tempo. Ci sono però altri cerchi di cui vale la pena parlare, come la modifica della Legge sulla gestione delle acque: quella che porterebbe il tasso dei contributi LALIA dal 5% a circa il 3% e che aspetta da tre anni di essere discussa in Gran Consiglio. Se la politica cantonale fosse stata più reattiva, forse a Lugano ci sarebbero stati meno mal di pancia (forse…) ma il punto è un altro.

Un tasso d’interesse anche del 3% è giusto? Un tasso d’interesse in generale, per il versamento di contributi a un ente pubblico, è giusto? Facciamo un paragone con il settore privato. Se una società di credito mi presta 10.000 franchi e io, a rate, devo restituirgliene 11.000, è giusto. Quei mille franchi sono il margine di guadagno di un’azienda che vive di quello, che ha dei costi da sostenere e dei salari da versare. È il prezzo del suo lavoro: prestare soldi a chi ne ha bisogno. E io, cliente, posso scegliere se accettare o meno il tasso che mi viene proposto. Nel caso dello Stato, di che lavoro e di che margine stiamo parlando? Un ente pubblico non ha bisogno d’incassare quel surplus. Non è giustificato. Come non è giustificata (o meglio: è giustificata male) la decisione con cui il Consiglio federale, lo scorso marzo, ha aumentato i tassi d’interesse dei crediti Covid tuttora scoperti, portandoli dallo 0% all’1,5% per i crediti fino a 500.000 franchi e dallo 0,5% al 2% per gli importi più elevati.

Rispondendo a un’interpellanza critica del consigliere nazionale Piero Marchesi (UDC) il Governo ha ricordato che «le imprese sapevano che sarebbe stato applicato un tasso d’interesse e che quest’ultimo sarebbe mutato in funzione degli sviluppi del mercato» e ha ritenuto che «un aumento moderato degli interessi è sostenibile». Considerando che alcune aziende hanno chiesto questi aiuti in una situazione di seria difficoltà e che un aumento anche lieve del loro costo, per chi fatica già a far quadrare i conti, può pesare tanto, Berna poteva risparmiarsi di cambiare le carte in tavola, per quanto fosse legale e preannunciato. Anche perché la situazione dei rincari, vista nel suo complesso, comincia a diventare preoccupante. E impone allo Stato – o almeno allo Stato, perché se estendiamo il discorso ai privati dovremmo parlare, ad esempio, delle esose spese di richiamo addebitate da tante aziende per i ritardi nei pagamenti – di evitare dove possibile ulteriori malus finanziari ai cittadini. Per allentare un po’ la pressione, nell’interesse pubblico.