Navalny, lo «zar» e la Russia che verrà

Forse è solo una coincidenza, ma il fatto che la notizia della morte di Navalny sia stata diffusa mentre era in corso la Conferenza per la sicurezza di Monaco, a cui tra l'altro hanno preso parte la moglie del dissidente russo e il presidente ucraino Zelensky, lascia spazio all'ipotesi che il Cremlino abbia voluto lanciare un duro monito ai suoi oppositori fuori e dentro i confini russi: chi contesta i piani dello «zar» farà una brutta fine. A ringalluzzire Putin è giunto anche l'annuncio del ritiro dell'esercito di Kiev dalla località strategica di Avdiivka, nel Donbass.
Tuttavia non tutto va per il meglio per Mosca e per la sua credibilità a livello internazionale, già caduta ai minimi storici dopo l'avvio della spietata invasione dell'Ucraina due anni fa. Ieri, per il terzo giorno consecutivo, le autorità russe hanno negato alla famiglia del dissidente l’accesso alla sua salma. La motivazione ufficiale è che l'inchiesta sulla morte del combattivo leader dell'opposizione è ancora in corso. Colpisce la «meticolosità» degli inquirenti russi, ma viene da chiedersi come mai in occasione dell'avvelenamento di Navalny con il Novichok, avvenuto nell'agosto del 2020, le autorità russe non avviarono indagini altrettanto meticolose per individuare i responsabili.
Ad avvelenare il dissidente russo era stata una squadra dell'FSB (i servizi segreti russi) che Navalny smascherò con un sotterfugio dopo essersi ripreso dall'avvelenamento. Negli anni di prigionia in condizioni disumane, il leader dell'opposizione non ha cessato di denunciare un regime criminale e la guerra di aggressione condotta in Ucraina. La voce che Putin aveva cercato di mettere a tacere, dapprima con un tentativo di avvelenamento e poi con un processo farsa, continuava dunque ad infastidire i vertici del potere. Tanto più ora che le elezioni farsa di marzo si avvicinano; in pratica gli unici candidati che si erano presentati come reali antagonisti del presidente in carica sono stati esclusi dal voto con motivi pretestuosi.
Non sono per ora disponibili, e probabilmente non lo saranno mai, prove di una eliminazione fisica di Navalny. Ma visti i precedenti e il modo goffo con cui il Cremlino sta cercando di far sparire le prove di quello che la moglie del dissidente ha definito un avvelenamento pianificato, non sembrerebbe il caso di parlare di presunzione di innocenza. Putin, evidentemente, vuole vincere le due principali sfide che sta affrontando: la guerra in Ucraina e le elezioni presidenziali di metà marzo.
Purtroppo il regime russo appare in buona posizione per ottenere un successo su entrambi i fronti. Il probabile cambio della guardia alla Casa Bianca rischia infatti di bloccare o di ridurre in modo sostanzioso il sostegno militare USA a Kiev, mentre l'UE sta perdendo compattezza nel sostenere la causa ucraina e a livello operativo non sembra in grado di rimpiazzare i massicci aiuti che Washington ha finora fornito all'Ucraina. Putin sembra così aver ritrovato il buon umore (anche se nelle sue apparizioni ha sempre il volto teso e minaccioso) ed è tornato a parlare di possibili negoziati di pace con l'ex Repubblica sovietica, lasciando però intendere che sarà lui a dettare le condizioni.
In casa propria, invece, lo «zar» sa che l'opposizione è stata privata di leader credibili e della possibilità di farsi sentire dal grande pubblico. L'unico intralcio che ancora restava, la voce di Navalny, è stato verosimilmente eliminato con mezzi brutali. Al portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, l'ingrato compito di recitare la parte dell'offeso: «Il Cremlino ritiene inammissibili le dichiarazioni rozze dei Paesi occidentali sulla morte di Alexei Navalny». Tutto lascia presagire che la Russia che verrà, dopo lo scontato successo di Putin, non potrà che continuare a far paura.