L'editoriale

Netanyahu e Hamas, tanto odio, poca umanità

I colloqui indiretti in corso a Sharm el-Sheikh hanno aperto un nuovo spiraglio di speranza, ma visti i fallimenti dei precedenti tentativi di mediazione è meglio non farsi troppe illusioni
Osvaldo Migotto
08.10.2025 06:00

Israele ha commemorato ieri il secondo anniversario dell’attacco perpetrato dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023, un evento mostruoso che non avrebbe mai dovuto accadere. Il Paese si è fermato per piangere i civili e i militari uccisi dai fanatici musulmani in una spirale di odio con intento genocidiario. I familiari degli ostaggi ancora nelle mani degli estremisti palestinesi, dal canto loro, continuano a vivere un supplizio tremendo accentuato dall’estrema incertezza che regna sul futuro dei loro cari. Le conseguenze di quella disumana mattanza, costata la vita a oltre 1.200 cittadini israeliani, per lo più civili, sono davanti agli occhi del mondo.

I colloqui indiretti in corso a Sharm el-Sheikh tra autorità israeliane, rappresentanti dell’organizzazione terroristica islamica e inviati del presidente USA Trump hanno aperto un nuovo spiraglio di speranza, ma visti i fallimenti dei precedenti tentativi di mediazione è meglio non farsi troppe illusioni. Difficile credere che Hamas, dopo aver perso migliaia di combattenti e un elevato numero di suoi dirigenti, accetti ora di non contare più nulla nel futuro della Striscia di Gaza. Il premier dello Stato ebraico, dal canto suo, non sembra pronto a grandi concessioni per giungere al rilascio degli ostaggi e alla fine dei combattimenti. Se si è tornati a un tavolo negoziale il merito va all’amministrazione statunitense e ai Paesi della regione che spingono da tempo per la fine della spietata guerra in atto. Intanto, in occasione del secondo anniversario del bagno di sangue senza precedenti compiuto nello Stato ebraico, in molti si chiedono come sia stato possibile che uno degli eserciti più preparati del mondo, con servizi d’intelligence di primo rango, abbia all’improvviso mostrato una totale vulnerabilità nei confronti di un nemico, Hamas, che da anni mostrava, con attacchi terroristici di ogni genere, il suo odio e la sua spietatezza nei confronti di ogni cittadino ebreo. Prima del drammatico 7 ottobre, le soldatesse israeliane di vedetta nella base di Nahal Oz, nel sud dello Stato ebraico, per mesi avevano segnalato i crescenti movimenti dei miliziani di Hamas lungo il muro di confine, ma i loro rapporti non erano stati presi nella dovuta considerazione dai superiori. Incredibile. Lo stesso vale per il via libera dato dalle autorità israeliane al gigantesco festival musicale Supernova organizzato nelle immediate vicinanze del confine con la Striscia di Gaza. Il 7 ottobre del 2023 per i tagliagole di Hamas è stato un gioco da ragazzi sparare sui giovani riuniti in quel raduno gioioso e prendere diversi ostaggi.

Inoltre, tra i sopravvissuti dei kibbutz presi d’assalto dai terroristi palestinesi, vi è chi ieri ha ricordato di aver atteso, terrorizzato nel proprio rifugio, per otto ore prima di vedere l’arrivo dell’esercito. Incongruenze del sistema difensivo israeliano che sono state sottolineate in questi giorni anche dalla stampa israeliana. Il Jerusalem Post, ad esempio, è giunto alla conclusione che Israele, per il controllo di alcune aree, non potrà più affidarsi solo a sistemi di sorveglianza elettronica, ma occorrerà una costante presenza militare.

Per gli errori di valutazione ed organizzazione che hanno permesso ad Hamas di infliggere allo Stato ebraico la peggiore sconfitta di sempre, diversi graduati e alti responsabili israeliani hanno rassegnato le dimissioni o sono stati messi da parte. L’unico a non aver tratto le conseguenze dei gravi errori commessi nella pianificazione della difesa del Paese è il capo dell’Esecutivo, proprio quel Benjamin Netanyahu che ora, stando agli ultimi sondaggi, il 64 per cento degli israeliani non vorrebbe più come premier, mentre sul fronte internazionale sono ben pochi i leader che approvano gli esagerati «danni collaterali» causati dal suo esercito alla popolazione palestinese. 

In questo articolo: