Editoriale

Pragmatismo e buon senso a favore del clima

Il prossimo 18 giugno andremo a votare per la Legge sul clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica: il tema è all’ordine del giorno, per svariati motivi non sempre condivisibili
Paride Pelli
06.06.2023 06:00

Il prossimo 18 giugno andremo a votare per la Legge sul clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica. Si tratta, in sostanza, di un controprogetto indiretto all’Iniziativa per i ghiacciai, che è stata ritirata nell’ottobre dell’anno scorso proprio perché la Legge sul clima ha passabilmente convinto persino il comitato di iniziativa. Il tema, come abbiamo visto negli ultimi mesi, è all’ordine del giorno, per svariati motivi non sempre condivisibili. Da una parte, le clamorose quanto deprecabili azioni degli ecoattivisti hanno instillato negli animi di non poche persone la sensazione che non vi sia più tempo, che l’apocalisse è vicina, che l’allarme, questa volta, è definitivo: o lo si ascolta o si muore. Dall’altra, si percepisce un certo preoccupante disinteresse da parte di alcuni settori dell’economia e della politica a prendere semplicemente atto che qualche passo va comunque fatto, per la semplice ragione che una Svizzera, e in futuro un pianeta, più attenta alle conseguenze ambientali delle nostre azioni e dei nostri consumi è il minimo che si possa lasciare in eredità alle generazioni future. Quelli che ancora non sono convinti di ciò, sostengono che muoversi in autonomia e magari in anticipo sugli altri, come singolo Paese, non porterebbe a nessun risultato. La Svizzera, infatti, «pesa» solo lo 0,1% delle emissioni globali di CO2 e non sarà certo uno scatto in avanti del nostro virtuosismo a migliorare la situazione complessiva. Il ragionamento ha una sua iniziale fondatezza. Certo, gli Stati Uniti stanno rimediando al tempo perduto e ogni giorno sfornano progetti per rendere più efficace a tutte le latitudini la lotta all’inquinamento, con le sue parziali ripercussioni sul clima, e così, se non in misura ancora maggiore, l’Unione europea, nostra vicina di casa. Ma è altrettanto vero che interi continenti – l’Asia su tutti, con in testa Cina e India – sembrano giocare a nascondino sul tema, avanzando l’alibi che la mancanza di una strategia globale invaliderebbe all’istante le iniziative dei singoli Paesi: se non lo fanno tutti, meglio non farlo, perché sarebbe come svuotare l’oceano con un cucchiaino e oltretutto, questa è spesso la ragione che non si osa dichiarare, si rallenterebbe la crescita di un’economia basata ancora sulle risorse fossili. L’inquinamento provocato da una simile linea di condotta, viene così semplicemente demandato alle generazioni che verranno, se poi avranno la sensibilità per porvi rimedio.

Al di là delle grandi questioni geopolitiche e dei dati scientifici, nel nostro piccolo, il prossimo 18 giugno, saremo confrontati con una scelta di buon senso e anche di pacata responsabilità. Che sull’inquinamento bisogna pur fare qualcosa, è lapalissiano, anche iniziando con il cucchiaino. Basti pensare, tanto per fare un esempio che tocca tutti, che pure questa estate, con le temperature elevate e l’ampio soleggiamento, molto probabilmente dovremo subire qualche giornata di velocità ridotta sulle autostrade, per sopraggiunti limiti di inquinamento in termini di polveri fini. Non sarà certo il caso di gridare alla fine del mondo, come fanno teatralmente i movimenti pro-clima, né di ritenere che l’inquinamento globale sia risolvibile mettendoci all’improvviso tutti quanti a dieta di emissioni, fino a data da destinarsi. Occorre fin da subito, invece, una buona dose di pragmatismo alla svizzera. Il controprogetto all’iniziativa sui ghiacciai è sostenuto da praticamente tutte le forze politiche, con l’eccezione dell’UDC. Una larga intesa che rispecchia i risultati di un sondaggio SSR secondo cui tre quarti delle persone interpellate ritengono sia meglio per la Confederazione mettersi nell’ottica di ridurre i gas serra e di cimentarsi con convinzione nelle energie rinnovabili. Non un «tutto e subito» ma un progetto da perseguire senza isterie su un orizzonte temporale che arriva fino al 2050 e attraverso una Legge capace di fissare obiettivi e traguardi intermedi e di sostenerli – cosa non da poco – modulando i flussi finanziari nazionali verso degli investimenti a basse emissioni di gas serra e resistenti ai cambiamenti climatici. È pur vero che la bocciatura alle urne, un anno fa, della revisione sulla Legge sul CO2 ha reso la strada elvetica verso la neutralità climatica un po’ più lunga, ma bisogna ammettere, a posteriori, che si trattava di un passo troppo lungo.

La Legge al voto il 18 giugno, invece, pare aver fatto tesoro di certe lezioni: non mettere le mani nelle tasche dei cittadini e sostenere anche finanziariamente il cambiamento verso una giusta direzione. Ci sembra che la sostanza di tutta la faccenda sia questa, al di là delle ideologie: appurata la validità delle tesi di fondo, bisogna agire. Anche con in mano soltanto un cucchiaino.