L'editoriale

Quanti danni può fare l'iniziativa sulle eredità

L’iniziativa dei giovani socialisti per introdurre un’imposta federale del 50% sulle successioni e le donazioni superiori ai 50 milioni di franchi sta facendo incetta di giudizi negativi
Giovanni Galli
12.11.2025 06:00

Estrema, ideologica, populista, folle, pericolosa, irresponsabile: nella campagna che porta alla votazione popolare del 30 novembre, l’iniziativa dei giovani socialisti per introdurre un’imposta federale del 50% sulle successioni e le donazioni superiori ai 50 milioni di franchi sta facendo incetta di giudizi negativi. Tra i tanti, è calzante anche quello di «dannosa», per una proposta animata da uno spirito di lotta di classe che criminalizza i ricchi, accusati stavolta di rovinare l’ambiente con il loro stile di vita. I danni sono almeno di tre tipi. Il primo è anticipato, perché si può presumere che in questi ultimi tempi nessuno straniero facoltoso abbia deciso di trasferirsi in Svizzera con armi e bagagli, nella prospettiva di dover lasciare al fisco una bella fetta del patrimonio in caso di successione. In attesa dell’esito della votazione, l’iniziativa ha già avuto un effetto dissuasivo, andato a sommarsi ai timori di quelle persone fisiche residenti che hanno valutato l’opportunità di trasferirsi all’estero a titolo precauzionale. Il volto più noto, il «patron» di Stadler Rail Peter Spuhler, ha detto di aver temporaneamente abbandonato questo proposito, rassicurato dalla comunicazione del Consiglio federale secondo cui, nel caso di un sì alle urne, l’imposta sarà dovuta solo dopo l’entrata in vigore dell’ordinanza. Il secondo danno, se passasse l’iniziativa, è l’impatto fiscale negativo, a causa dei cambiamenti di comportamento delle persone interessate, che per sfuggire a questa imposta confiscatoria non esiterebbero a lasciare il Paese. Secondo una perizia commissionata dall’Amministrazione federale delle contribuzioni al prof. Marius Brülhart, l’aliquota del 50% sui patrimoni superiori ai 50 milioni di franchi determinerebbe una riduzione del potenziale substrato fiscale compresa fra il 77% e il 93%. L’AFC, a sua volta, stima un impatto ancora superiore, compreso fra l’85% e il 98%. In soldoni, questo significa che invece dei 6 miliardi di franchi di incassi stimati a tavolino dai proponenti (poco più di 4 miliardi, invece, dalla Confederazione), dopo gli effetti delle partenze resterebbero dai 100 ai 650 milioni, a seconda delle circostanze. Con simili importi, oltre al danno, non si andrebbe lontano nemmeno nella protezione del clima, alla quale gli iniziativisti vogliono destinare la totalità dei ricavi. Non solo. Con la fuga di buoni contribuenti ci sarebbe anche una perdita del gettito fiscale, in particolare a livello di imposte sul reddito e sulla sostanza, i cui introiti oggi sono assicurati nella misura del 40% dall’1% delle persone più facoltose. La differenza andrebbe colmata dai contribuenti che non possono permettersi di lasciare il Paese, ceto medio in testa.

L’iniziativa è totalmente sconnessa dalla concorrenza fiscale internazionale. Mentre per i benestanti potenzialmente colpiti, un’eventuale approvazione si tradurrebbe in un fastidioso trasloco in Paesi con fiscalità più favorevole, per tutti gli altri contribuenti sarebbe una condanna a pagare più imposte. Il terzo danno è quello economico, perché verrebbero colpite anche importanti imprese familiari e indirettamente quelle a loro legate, che insieme costituiscono l’ossatura dell’economia svizzera. Un’azienda può anche valere più di 50 milioni di franchi, ma gli attivi sono spesso immobilizzati (stabili, macchinari) e gli eredi non dispongono necessariamente della liquidità per pagare l’imposta di successione. Per farlo dovrebbero indebitarsi (sempre che le banche facciano loro credito) o addirittura cedere l’azienda. La continuità aziendale verrebbe messa in pericolo, si romperebbero equilibri consolidati e tutto il sistema ne uscirebbe fragilizzato. Si temono anche conseguenze per gli impieghi. Eloquente, in proposito, il fatto che l’Unione sindacale svizzera abbia lasciato libertà di voto. Secondo l’economista Reiner Eichenberger, con tale imposta lo Stato sottrarrebbe metà dell’azienda di famiglia e del patrimonio ogni trent’anni, prima ai genitori, poi ai figli e poi ai nipoti, nonostante in Svizzera ci sia già l’imposta sulla sostanza più alta d’Europa. I sondaggi, finora, danno l’iniziativa perdente. I contrari, tuttavia, sperano in una vittoria schiacciante del fronte del no, che chiuda una volta per tutte la questione. A ragione, perché un successo di misura potrebbe porre le basi per creare un potenziale quarto danno. Ad esempio, sotto forma di nuove iniziative antieconomiche altrettanto insidiose, solo con richieste un po’ meno estreme, e quindi meglio vendibili. Oppure con proposte che vincolano le entrate a un certo tipo di spesa. Col risultato di limitare la politica finanziaria e di premiare la logica del «chi primo arriva meglio alloggia». 

In questo articolo: