«Re» Boris affonda in un mare di bugie

Quella di Boris Johnson è stata una vita all’insegna della spregiudicatezza, sia nella vita privata, sia in quella politica. Il premier uscente, destinato a entrare nei libri di storia per aver portato il Regno Unito fuori dall’UE, si è sempre mostrato un politico atipico, dalle grandi ambizioni ma dalla bassa propensione al rispetto delle regole. Ed è proprio quest’ultimo aspetto ad aver determinato la sua caduta, sotto la spinta dei suoi stessi colleghi di partito.
Una buona istruzione (si è laureato all’Università di Oxford), astuzie e bugie gli hanno permesso di raggiungere traguardi invidiabili nella politica britannica. Ieri, nel suo discorso di congedo Johnson si è detto triste di dover lasciare «il lavoro più bello del mondo». In realtà per la sua uscita di scena non può che dire «mea culpa», in quanto chi non impara dagli errori del passato, prima o poi è destinato a pagarne le conseguenze. Solo un mese fa l’ex sindaco di Londra era uscito indenne da un voto di sfiducia innescato dalla rivolta di una parte del suo stesso partito Tory in seguito allo scandalo Partygate. Ossia le feste illecite a Downing Street durante la pandemia, quando le regole imposte ai cittadini vietavano raduni di più di due persone al di fuori del nucleo familiare. In quell’occasione, come già avvenuto per altri scandali in passato, il premier aveva modificato più volte la sua versione dei fatti ogni volta che testimonianze credibili contraddicevano le sue dichiarazioni. Alla fine sono arrivate le scuse di BoJo che però non hanno convinto tutti i parlamentari Tories, visto che nel voto del 6 giugno vi sono stati 211 voti a suo favore, ma ben 148 contrari.
L’elenco delle bugie o delle mezze verità usate dal premier uscente è lungo ed era iniziato già quando Johnson all’inizio della sua carriera lavorativa era giornalista. Nonostante ciò Boris è riuscito a suscitare simpatie tra molti elettori. Tra il 2008 e il 2016 è stato eletto per due mandati consecutivi sindaco di Londra, ottenendo successi nella lotta alla criminalità e alla povertà, ma anche introducendo nuove bici pubbliche cittadine. Ma per le ambizioni di «re» Boris la poltrona di sindaco della capitale non era abbastanza prestigiosa. Usando la Brexit come cavallo di battaglia, si è preparato a una nuova ascesa politica, subentrando nel luglio del 2019 alla premier Theresa May.
Gli scandali e la gestione del potere non sempre consona ai canoni della politica britannica hanno però indebolito la sua credibilità. Mentre la pandemia e la crisi economica accentuata dalla guerra in Ucraina hanno aumentato il malcontento tra la popolazione. Nonostante ciò Johnson, tracciando un bilancio della sua leadership politica, ieri ha sottolineato solo gli aspetti positivi del suo mandato. Ha ad esempio sottolineato che con lui il Regno Unito è stato il primo Paese a lanciare una campagna di vaccinazioni a tappeto, ma ha sorvolato sul fatto che a causa della sua iniziale sottovalutazione dei rischi sanitari legati alla pandemia ha fatto schizzare a livelli allarmanti il numero dei contagi e dei morti.
«Re» Boris ha ora rinunciato alla guida dei Tories, accettando anche la sua prossima uscita di scena come premier. Prima avverrà il cambio della guardia al numero 10 di Downing Street meglio sarà per il Regno Unito e anche per l’Occidente, unito in una sfida senza precedenti contro la minaccia di una Russia neoimperialista che ancora non si è capito fino a dove vuole spingersi nella sua sfida al mondo democratico. Mentre Johnson affonda nel suo mare di bugie, occorre che Londra trovi presto un nuovo leader credibile e forte che mantenga il Paese nelle sue attuali linee politiche evitando però le cadute di stile del suo predecessore.