L'editoriale

Regime in difficoltà, ma Teheran è un pericolo

La Repubblica islamica aveva minacciato una dura risposta nel caso di un intervento militare USA contro obiettivi iraniani, e nel pomeriggio di ieri ha mantenuto la promessa, prendendo di mira, con un attacco missilistico, la base americana di Al Udeid, in Qatar
Osvaldo Migotto
24.06.2025 06:00

La Repubblica islamica aveva minacciato una dura risposta nel caso di un intervento militare USA contro obiettivi iraniani, e nel pomeriggio di ieri ha mantenuto la promessa, prendendo di mira, con un attacco missilistico, la base americana di Al Udeid, in Qatar. A finire nel mirino del regime teocratico di Teheran vi è stata dunque la più grande base militare che gli Stati Uniti hanno in Medio Oriente, un obiettivo simbolico dunque, ma simbolica è stata pure la forza distruttiva dell’attacco, considerato che tutti i missili lanciati dagli iraniani sono stati intercettati dalle forze armate qatariote. Tra i militari statunitensi non si contano dunque, né morti, né feriti. Anche perché il regime degli ayatollah aveva annunciato in anticipo la sua operazione offensiva.

È chiaro che i vertici del potere iraniano, indeboliti dai ripetuti bombardamenti israeliani e dall’attacco americano nella notte tra sabato e domenica sui tre principali siti nucleari iraniani (Fordow, Natanz e Isfahan), hanno puntato più su una rappresaglia simbolica che su una risposta devastante nei confronti di Washington. Così facendo Teheran probabilmente spera che Trump non si unisca a Netanyahu nel progetto del Governo israeliano di un cambio di regime a suon di bombe nella Repubblica islamica. 

La situazione però al momento appare avvolta in una grande incertezza. Le prime reazioni di The Donald al bombardamento della grande base militare americana nel Qatar non lasciano intravvedere una risposta militare USA alla modesta sfida lanciata da Teheran. Trump dopo l’attacco delle forze armate statunitensi ai tre siti dove il regime islamico arricchiva l’uranio aveva dichiarato con toni trionfalistici che il programma nucleare iraniano era stato «completamente e totalmente annientato» dalle bombe USA anti-bunker e da una raffica di missili.

Nel suo semplicistico modo di presentare la situazione del momento all’opinione pubblica, l’inquilino della Casa Bianca aveva cercato di dipingere la missione militare statunitense in Iran come un pieno successo che ha posto la parola fine alla minaccia nucleare di Teheran. Ma non tutti sono dello stesso parere. Secondo alcuni analisti le minacce lanciate la scorsa settimana dal tycoon a Teheran di un possibile bombardamento USA dei siti nucleari iraniani avrebbe permesso al regime islamico di mettere in salvo una parte consistente dell’uranio arricchito finora.

Tutto da verificare; intanto però il Parlamento di Teheran sta valutando un disegno di legge per sospendere la cooperazione dell’Iran con l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Ciò significa che se il regime degli ayatollah riuscisse ad avviare nuovamente l’arricchimento dell’uranio in un luogo segreto, l’incubo di una bomba atomica in mano a un regime di fanatici religiosi tornerebbe ad aleggiare sul Medio Oriente, alla faccia dei trionfalismi trumpiani.

È per questo motivo che il premier israeliano continua a rincorrere il sogno di un cambio di regime a Teheran. Ieri, nella foga di colpire i simboli del potere in Iran, l’aviazione militare dello Stato ebraico ha colpito anche il famigerato carcere di Evin, dove sono rinchiusi gli oppositori politici. Ciò ha suscitato la reazione irritata del Governo francese che ha sottolineato come il bombardamento abbia messo in pericolo la vita dei detenuti, tra i quali figurano anche dei cittadini francesi.

Si tratterà ora di vedere se il premier israeliano riuscirà a convincere Trump a seguirlo nella sua battaglia per un cambio di regime a Teheran. Sulla carta l’attuale potenza militare iraniana è poca cosa di fronte agli arsenali di Stati Uniti e Israele. L’Iran però rimane un avversario pericoloso, pronto a usare qualsiasi arma, compreso il blocco dello Stretto di Ormuz, nel caso si sentisse messo con le spalle al muro. Ieri intanto Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri iraniano, si è recato a Mosca in cerca della solidarietà russa. Il Cremlino non ha escluso la fornitura di aiuti militari all’Iran. Difficile dire che tipo di appoggio Teheran potrà realmente ricevere dall’alleato russo, considerato che Putin in questa fase di lento riavvicinamento agli USA probabilmente non vorrà contrariare il volubile Donald Trump appoggiando Teheran militarmente.

Tuttavia dietro le quinte della diplomazia tutto è possibile, compresa la fornitura di armi sottobanco. In una tale incertezza non si può che guardare con preoccupazione ai prossimi sviluppi nella polveriera Medio Oriente.

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