Sanità e politica, il cerotto non basta

«Sussidi di cassa malati, il piatto caldo delle discussioni sul Preventivo 2025», titolavamo un articolo di cronaca parlamentare dello scorso ottobre. Un titolo “sbagliato”, sì, ma solo di qualche mese. In quel preventivo, infatti, un po’ a sorpresa il tema dei sussidi venne appena sfiorato, tramite qualche emendamento (mai approvato). Per svariati motivi il grosso della discussione si concentrò sulla scuola e in particolare sulla pedagogia speciale. Ora, però, a qualche mese di distanza quel tema è effettivamente diventato il “piatto caldo” della politica cantonale.
Il risparmio da 10 milioni di franchi sui sussidi previsto in quel preventivo è tornato d’attualità grazie al referendum del PS e all’iniziativa del Centro, che ha fatto dietrofront sulla misura alla luce degli 80 milioni che giungeranno dalla BNS. Entrambi, in sostanza, chiedono che quel risparmio non sia più effettuato. Questa, però, non è la portata principiale del piatto. No, a esserlo sono due importanti iniziative popolari, una del PS e una della Lega, sulle quali forse andremo a votare nei prossimi mesi. A queste due, poi, nei giorni scorsi si è aggiunta una terza via di compromesso avanzata dai liberali radicali, la quale però è ancora in uno stato embrionale. Ricette molto diverse fra loro per cercare di alleggerire la fattura dei premi ai cittadini. Ci sarà sicuramente modo e tempo nei prossimi mesi di affrontarle, per sviscerarne pregi e difetti. C’è però un “non detto”, in tutto questo dibattito, che va sottolineato: nessuna di queste proposte (con una sfumatura per quella del PLR, che indirettamente permetterebbe perlomeno al Cantone di avere maggiore potere negoziale con cliniche e ospedali per pilotare domanda e offerta) va ad affrontare direttamente la radice del problema.
Si tratta di tre proposte che da angolature diverse trattano un problema urgente, ossia quello della fattura dei premi che per molti sta diventando insostenibile. Ma tutte chiedono di mettere un cerotto su una ferita che ormai richiederebbe un intervento chirurgico. Si chiede, detto altrimenti, che lo Stato intervenga con più sussidi (come fatto dal PS) o con più sgravi fiscali (come fatto dalla Lega) per permettere ai cittadini di pagare una fattura meno salata. Tutte mirano a contenere la fattura, ma nessuna si chiede perché quella fattura continua imperterrita a crescere. Come mai? Poiché è ben più popolare abbassare la fattura che incidere sui fattori che portano quella stessa fattura ad aumentare, ossia la spesa sanitaria che cresce di anno in anno. Mettere un cerotto è un gesto gentile, che sicuramente farà piacere ai cittadini. Dire loro che abbiamo bisogno di un intervento chirurgico significa, invece, comunicare una brutta notizia. Qual è, dunque, questa brutta notizia? Nei prossimi anni, se non vorremo continuare a vedere i premi aumentare del 10% all’anno, occorrerebbe procedere alla chiusura di reparti (o perlomeno a una loro concentrazione). Per non parlare del settore ambulatoriale, dei farmaci e così via. In estrema sintesi: l’offerta sanitaria come la conosciamo oggi non è più sostenibile. E bisognerà in qualche modo ridurla.
Ovviamente ai partiti (è anche difficile dargli torto) vien più facile consigliare ai cittadini di mettersi un “cerotto” piuttosto che ammettere la necessità di una dolorosa cura. Si contano sulle dita di una mano i deputati che hanno fatto uscite pubbliche in tal senso. Ma fa comunque piacere notare che tra i corridoi di palazzo sempre più parlamentari (da sinistra a destra, passando dal centro) abbiano iniziato a riconoscere che occorre agire alla radice del problema. I prossimi mesi saranno sicuramente tutti assorbiti dalla lunga discussione su quale sarà il migliore cerotto da applicare. Prima o poi, però, come d’altronde farebbe un buon dottore, qualcuno dovrà comunicare al paziente la vera cura: la riduzione (o perlomeno una rimodulazione) dell’offerta sanitaria. Sarà probabilmente doloroso. Ma appare oggi inevitabile.