L'editoriale

Sanità, riforme e non rivoluzioni

C’è fermento nel campo della politica sanitaria in vista del probabile sensibile aumento dei premi di cassa malati
Giovanni Galli
02.09.2023 06:00

C’è fermento nel campo della politica sanitaria in vista del probabile sensibile aumento dei premi di cassa malati. Nelle ultime settimane, si è assistito a un crescendo di proposte. Il PLR ha chiesto di creare modelli «light» che lascino più libertà di scelta agli assicurati, il PS ha annunciato di voler studiare una nuova iniziativa per una cassa malati pubblica (sarebbe la terza), la Federazione romanda dei consumatori ha reclamato un congelamento dei premi, mentre la responsabile della Sanità del Canton Zurigo, la democentrista Natalie Rickli, preoccupata dalle difficoltà della classe media, ha rotto un tabù dicendo che bisognerebbe ridiscutere il sistema dell’assicurazione obbligatoria. È un segno di impotenza, hanno giustamente osservato i critici, anche perché non vengono proposte alternative su come finanziare il sistema a costi accettabili ed evitare un regime di medicina a due velocità. Ma tutte queste richieste più o meno radicali, molto diverse fra loro, ripropongono sotto una nuova luce una tendenza di fondo che ha accompagnato l’ormai trentennale storia della Legge sull’assicurazione malattie (LAMal): il sistema sanitario è riformabile o per migliorarlo serve una rivoluzione? Nel 2014, quando tre votanti su cinque e 22 Cantoni respinsero l’iniziativa della sinistra per una cassa malati unica – di fatto si trattava di statalizzare l’assicurazione obbligatoria – il «ministro» della Sanità Alain Berset disse che il popolo voleva riforme e non rivoluzioni. Sette anni prima, dopo il primo tentativo fallito alle urne di introdurre una cassa pubblica, Pascal Couchepin dichiarò che di questo passo (nel 2003 erano già stati respinti i premi in base al reddito) ci sarebbero voluti da uno a due secoli per ottenere un cambiamento di sistema. Battute a parte, è un fatto che nell’arco di undici anni, nonostante i continui rincari, il popolo aveva detto che per migliorare la sanità non bisognava metterla sottosopra. È difficile dire come si comporterebbe adesso, se l’evoluzione dei premi, molto contenuta fra il 2017 e il 2022, prima dell’impennata di quest’anno, non venisse rallentata. Se davvero è stata raggiunta la soglia del dolore e se la politica non riuscisse a riportare stabilmente sotto controllo la crescita dei costi (e quindi dei premi) certe soluzioni potrebbero avere più chance.

Intanto, il nuovo presidente di Curafutura, Konrad Graber, ha esortato alla concretezza. Bisogna proseguire nel solco delle misure realizzabili di riduzione o contenimento dei costi, invece di inseguire, per dirla con parole sue, idee astratte e irrealistiche. È vero, i tentativi di introdurre cambiamenti radicali nel sistema sono spesso il frutto dell’esasperazione per l’immobilismo della politica, bloccata dai veti incrociati delle sue lobby, dai continui scaricabarile, da conflitti trasversali fra livelli istituzionali e categorie (compresa quella degli assicuratori). Le resistenze ai cambiamenti sono forti e gli incentivi negativi duri da eliminare. Le rivoluzioni spesso nascono dove le riforme falliscono o s’incagliano, per colpa dei riformisti. Ma bisogna anche essere realisti. Per quanto possano sembrare suadenti, quando si tratta di passare dai principi ai fatti certe proposte di cambiamento rischiano di non andare lontano, perché per essere attuate richiederanno scelte concrete (leggasi rinunce) sulle quali sarà difficile trovare un consenso. Graber, già consigliere agli Stati del Centro, non si è fatto problemi a contestare l’efficacia dell’iniziativa sul freno ai costi, promossa dal suo stesso partito. E quanto alla richiesta ancora più radicale di Rickli, ha detto che è illusorio pensare di abbandonare il sistema obbligatorio se già oggi non si riesce nemmeno a rivedere il catalogo delle prestazioni, che è uno dei grossi nodi da affrontare. Certe idee infiammano il dibattito, ma permettono anche di sfuggire alla discussione sulle misure concrete. È su queste, invece, che bisognerebbe concentrarsi. Dal finanziamento unitario delle prestazioni ambulatoriali e stazionarie ai farmaci, dalla valorizzazione della medicina di prossimità al nuovo tariffario medico, le soluzioni non mancano. È certamente possibile rendere più efficiente il sistema sanitario senza comprometterne la qualità, attuando fino in fondo la legge attuale, purché non si crei inutile burocrazia. Non servono misure spettacolari, ma un continuo lavoro di controllo, fatto di interventi puntuali. Questo, ovviamente, richiede anche la piena disponibilità ad affrontare questioni scomode, come ad esempio quelle dell’offerta di prestazioni e della riorganizzazione degli ospedali. Se la politica vuole evitare di trovarsi in un vicolo cieco, è ora che si assuma fino in fondo le sue responsabilità, a livello federale e nei Cantoni.