L'editoriale

Se il prezzo del petrolio è più efficace dei banchieri centrali

Nella lotta all'inflazione, la politica monetaria di Fed, BNS e BCE è stata inasprita ulteriormente. Aumentati i tassi di 50 punti base. Ma è il calo delle materie prime l'alleato contro il rincaro.
Generoso Chiaradonna
16.12.2022 06:00

Non è ancora tempo di abbandonare la politica monetaria restrittiva. I segnali mandati a imprese e famiglie quasi in contemporanea da Fed, BNSS(Banca Nazionale Svizzera) e BCE sono abbastanza chiari: la stagione degli aumenti dei tassi d’interesse sarà più lunga del previsto e soprattutto è solo all’inizio. Questo vuol dire che la velocità con cui arrivare ai tassi target immaginati dai banchieri centrali sarà un po’ più lenta. E la lotta all’inflazione usando la sola leva monetaria? Non è stata assolutamente archiviata, ma in questa fase è prevalsa la prudenza delle colombe con gli ovvi distinguo tra le tre aree monetarie, da una parte e dall’altra dell’Atlantico.

La Federal Reserve aumentando il tasso guida sui Fed Funds (una volta si sarebbe chiamato tasso di sconto) di 50 punti base e portandolo tra il 3,75% e il 4,25%, ha sì interrotto la serie di quattro ritocchi positivi consecutivi da tre quarti di punto l’uno, ma ha fatto anche intendere che per tenere sotto controllo l’inflazione ci sarà bisogno di più tempo. Qui però, al contrario della Banca centrale europea, è stato almeno indicato un tasso d’interesse a cui tendere: +5,25% entro la fine del 2023. Tra un anno, insomma. Nonostante ciò, le attese di fatto sono per un atterraggio morbido dell’economia statunitense, con una stima di crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) dello 0,5%. E questograzie al calo dei prezzi delle materie prime e alla soluzione dei colli di bottiglia creatisi dopo i lockdown cinesi. La quotazione del barile del petrolio, per esempio, è scesa di 50 dollari dai massimi dello scorso maggio. Fattori che hanno sciolto alcuni nodi sul lato dell’offerta, indipendentemente dalla politica monetaria.

La situazione nell’Eurozona è un po’ più complicata. L’inflazione media è al 10% con punte che sfiorano il 20 percento e prospettive di crescita che differiscono tra le diverse economie continentali esposte, a differenti gradazioni, alle conseguenze della guerra in Ucraina e quindi ai ricatti di Putin sul gas russo. Per il consiglio direttivo della BCE è quindi un po’ più difficile mantenere la rotta di una politica monetaria che sia allo stesso tempo coerente con gli obiettivi di crescita dei vari paesi e di controllo del fenomeno inflazionistico. Ricordiamo che a Francoforte il consiglio direttivo della BCE ha deciso un aumento dei tassi di mezzo punto percentuale portando quello sui depositi al 2%, quello sui rifinanziamenti principali al 2,5% e quello sui prestiti marginali al 2,75%. Tassi più bassi di quelli statunitensi ma che possono essere intesi in maniera più restrittiva dagli operatori economici se a questi si aggiunge la riduzione della liquidità nel sistema economico. La Banca centrale europea ha infatti deciso di incominciare, dal prossimo marzo, il cosiddetto Quantitative Tightening ovvero la riduzione del suo bilancio da tutti quegli asset (titoli del debito pubblico e privato) acquistati nell’ultimo decennio per sostenere – via banche commerciali – i conti pubblici e le economie nazionali. La riduzione sarà di 15 miliardi al mese dal prossimo marzo fino alla fine del secondo trimestre. È questa, più che l’adeguamento del tasso d’interesse guida, la misura che dà il via a una politica monetaria autenticamente restrittiva con rischi maggiori per la dinamica economica tanto che si parla già di «mini-recessione invernale». Economie importanti come quella tedesca e italiana sono date in frenata anche se in modo meno pronunciato (-0,1% per il 2023) rispetto alle attese di pochi mesi fa.

Tutt’altra storia si sta vivendo in Svizzera con la BNS che ha adeguato al rialzo - come previsto - il suo tasso direttore sul franco di 50 punti base. Ora è all’1%. Le prospettive inflazionistiche sono più moderate rispetto alla zona euro e date in calo: tra il 2,3 e il 2,9%. Anche in questo caso sono stati i prezzi dei prodotti petroliferi in calo ad aver dato una mano. Non si sfuggirà però al rallentamento. Per l’anno prossimo secondo la BNS il PIL dovrebbe crescere di un modesto 0,5%.