L'editoriale

Si accorcia la filiera, l'Atlantico no

È un processo strisciante e per certi versi quasi inevitabile, quello della deglobalizzazione
Generoso Chiaradonna
23.01.2023 06:00

È un processo strisciante e per certi versi quasi inevitabile, quello della deglobalizzazione. Il pendolo della storia – almeno di quella moderna – oscilla da sempre tra liberalismo e protezionismo. Il libero commercio di beni e servizi tra i diversi Stati e aree economiche, la quintessenza del processo di globalizzazione, è in affanno e questo da prima dell’invasione russa dell’Ucraina che può essere definita come una seconda linea di demarcazione tra un prima e un dopo. La prima cesura è stata la crisi pandemica del 2020 con i relativi lockdown che hanno strozzato la lunga filiera del valore, come è definita la produzione nel XXI secolo. Ma è il riaccendersi delle tensioni tra USA e Cina che sta cambiando il volto alla globalizzazione. Non per nulla gli esperti parlano di «friendshoring», le cosiddette filiere amiche, per definire la riedizione del mondo diviso a blocchi che si pensava erroneamente terminato con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la susseguente dissoluzione dell’Unione sovietica un paio di anni dopo. Ma anche se «tra amici», il neo-processo di globalizzazione non è senza esclusione di colpi. È il caso, per esempio, delle tensioni in corso tra Unione Europea e Stati Uniti. Qualche riverbero c’è stato anche al WEF di Davos riportato dalla stampa anglosassone. Ne ha fatto cenno la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen. L’oggetto del contendere si chiama IRA che non è un sinonimo di rabbia, ma l’acronimo di Inflation Reduction Act, un programma protezionista varato dagli Stati Uniti per sostenere la transizione verde dell’economia. Un pacchetto fiscale da 370 miliardi di dollari che unito ad altri due provvedimenti dell’amministrazione Biden – uno per le infrastrutture di telecomunicazione e l’altro per incentivare la produzione di microchip e semiconduttori – porteranno in dieci anni a duemila miliardi di dollari gli investimenti pubblici nella green economy e in particolare nella mobilità elettrica. Il cosiddetto Net-Zero Industry Act, la risposta tutta in divenire dell’UE che ha tempi decisionali elefantiaci e capacità di spesa nulla senza l’accordo dei governi nazionali, non frenerà la fuga di capitali e aziende verso la calamita degli incentivi nordamericani.