L'editoriale

Smartphone tra divieti e regole uniformi

È certamente positivo che in Ticino si sia tornati a parlare dell’utilizzo dei telefonini a scuola da parte dei giovani e (ormai sempre più) giovanissimi
Paolo Gianinazzi
20.06.2025 06:00

È certamente positivo che in Ticino si sia tornati a parlare dell’utilizzo dei telefonini a scuola da parte dei giovani e (ormai sempre più) giovanissimi. Il tema aveva già fatto discutere la politica cantonale nel 2020, con un primo giro di vite deciso dal Gran Consiglio per le scuole medie. Sono passati «solo» cinque anni o poco più, ma vista la velocità con cui evolvono queste tecnologie, e soprattutto vista la rapidità con cui evolve l’utilizzo che ne facciamo, è quantomeno opportuno tornare a discuterne. In quanti, ad esempio, anche solo una decina d’anni fa avrebbero immaginato quanto pervasivi della nostra quotidianità sarebbero diventati gli «smartphone»? E quanti avrebbero immaginato che sarebbero diventati uno «strumento» anche per bambini delle Elementari?

Ecco. In questo contesto non possiamo permetterci di stare fermi. E la scuola, per evidenti ragioni, deve anch’essa tenere il passo. È dunque positivo che la direttrice del DECS, Marina Carobbio Guscetti, abbia preannunciato l’intenzione di proporre un giro di vite anche per gli istituti comunali, ossia per le Elementari. Una prima stretta, aggiungiamo noi, necessaria sul piano cantonale. Solo qualche giorno fa, infatti, sulle colonne di questo giornale abbiamo riferito della mozione interpartitica, presentata nel Comune di Caslano, per vietare i telefonini alle Elementari. Bene, proposta certo legittima, da approfondire e discutere. Ma, allargando lo sguardo, sarebbe incomprensibile introdurre un tale divieto in un determinato Comune, mentre a pochi chilometri di distanza, in un altro istituto scolastico, vigono regole completamente diverse. Detto altrimenti: in Ticino, una soluzione a macchia di leopardo non farebbe l’interesse di nessuno e sarebbe difficile da sostenere. L’autonomia degli istituti è sacrosanta, certo, ma trovare la quadra sul piano cantonale sarebbe quantomeno auspicabile. Bene, dunque, che venga presto lanciata una consultazione tra gli Enti locali e gli istituti per trovare un minimo di uniformità, una soluzione comune nell’interesse dei giovani.

Tra gli attori politici che hanno rilanciato la tematica in questi ultimi mesi c’è anche il Centro. Partito che ha preannunciato il lancio di un’iniziativa popolare, che avverrà nei prossimi mesi, per vietare i telefonini in tutti gli ordini della scuola dell’obbligo.

Una proposta che ci vede scettici per più motivi, ma che, al contempo, porta con sé un pregio importante.

Partiamo dallo scetticismo. I divieti tout court non sempre portano ai risultati sperati (in ambito educativo, ma non solo), anche se a volte risultano necessari per proteggere i bambini (si pensi all’esempio lampante delle sigarette o dell’alcol). Vietare completamente i telefonini a scuola potrebbe però equivalere a spostare la sabbia sotto il tappeto. L’uso (ma sarebbe meglio dire l’abuso) dei telefonini non è infatti una problematica legata unicamente alla scuola. Anzi. Il rischio è dunque che vietarne l’utilizzo solo in quel contesto non faccia altro che spostare il problema, escludendo oltretutto dal sistema un attore (la scuola) che dovrebbe essere parte della soluzione. Se ne occuperanno «solo» le famiglie? Ciò potrebbe anche essere positivo. Ma va pure detto che nella maggior parte dei casi l’abuso più problematico di questi strumenti avviene proprio tra i ragazzi che vivono in un contesto familiare già fragile. Dove - detto in altre parole - i genitori (per più motivi) non riescono a seguire con la necessaria attenzione il figlio.

Un altro esempio? Oggi vige già il divieto alle scuole medie, ma in alcune di esse è possibile utilizzare il telefono durante la pausa pranzo. Risultato? I ragazzi rispettano il divieto durante le lezioni, ma passano due ore intere di pausa incollati allo schermo. Introduciamo il divieto in pausa pranzo per risolvere il problema? Quelle ore davanti allo schermo le passeranno a casa. E così via. Insomma: giusto pensare a un minimo di regole uniformi in tutto il cantone e, con le dovute sfumature, in tutti gli ordini scolastici; ma l’accento andrebbe messo pure sull’educazione all’uso consapevole di questi strumenti (e la scuola, con le famiglie in prima linea, deve fare parte di questo processo).

Veniamo quindi all’indubbio pregio che avrà il lancio di un’iniziativa popolare. Comunque la si pensi, favorevoli o contrari, per un tema così sensibile è giusto lanciare un dibattito allargato a tutta la popolazione. Tematizzare il fenomeno, pur con una proposta «estrema», sarà positivo a prescindere dal risultato delle urne. L’abuso di questi strumenti (da parte dei giovani, ma anche degli adulti) è sotto gli occhi di tutti noi. Parlarne non potrà che farci bene.