L'editoriale

Sul tema del canone non esiste solo la SSR

Sarebbe un peccato che anche al prossimo giro il voto sull’iniziativa «200 franchi bastano!» si trasformasse nell’ennesimo (e inutile) referendum solo ed esclusivamente sulla SSR, con tutte le scontate divisioni politiche e polemiche pre-urne e post-urne
Paride Pelli
06.03.2024 06:00

È almeno dal 2018, cioè dall’epoca del grande e aspro dibattito sull’iniziativa No Billag, che tutta la sfiancante discussione intorno all’abolizione o alla riduzione del canone radiotelevisivo ruota intorno alla SSR e di conseguenza, in Ticino, alla RSI. Cioè al servizio radiotelevisivo pubblico. Bene, ma non benissimo, perché l’argomento è sempre stato più ampio di quanto molto spesso lo si è voluto far sembrare, e lo è ancora. Siccome nel 2026 andremo di nuovo a votare sul tema, nello specifico sull’iniziativa «200 franchi bastano!», e le polemiche stanno già galoppando, sarebbe utile che fin da subito tutti i media (pubblici e privati) ricoprissero il loro ruolo di servizio informativo a tutto tondo e provassero a raccontare che il voto tra due anni verterà non solo sulla SSR/SRG ma sull’assetto dell’intero sistema radiotelevisivo nazionale così come lo conosciamo, in un periodo per giunta complicato e delicato, con il mercato della pubblicità in picchiata e offerte alternative di fruizione di contenuti sempre più numerose. Certo, degli 1,39 miliardi di franchi complessivi della tassa riscossa da SERAFE, la SSR riceve oggi 1,2 miliardi, cioè ben l’86%. Se dovesse passare anche solo la misura intermedia avanzata dal Consiglio federale (riduzione del canone dagli attuali 335 a 300 franchi e non ai 200 franchi proposti dagli iniziativisti) la perdita per la sola RSI, a partire dal 2029, sarebbe intorno ai 40-50 milioni di franchi annui, con un potenziale taglio di 150 posti di lavoro. Considerando tali numeri, è naturale, perfino ovvio, che buona parte del dibattito in Ticino si concentri sulla radiotelevisione pubblica.

Tuttavia l’ecosistema dell’informazione nel nostro cantone e in Svizzera - per fortuna dell’intera popolazione - non si riduce alla sola SSR ed è molto più complesso. Il canone serve infatti a sostenere, nella misura attualmente del 6%, cioè di 86 milioni di franchi (è tuttavia pendente una mozione per portare la forchetta dal 4-6% di oggi al 6-8%), anche 38 emittenti radiotelevisive regionali e, in generale, quel pluralismo dell’informazione che da sempre è uno dei pilastri sui quali si basa la democrazia elvetica. Di questa redistribuzione «secondaria» (e piuttosto complicata) del canone parliamo in un approfondimento. Nel nostro cantone, essa serve a sostenere anche Teleticino, Radio3i e Radio Ticino, a cui tra un anno si aggiungerà la «complementare» Radio Gwendalyn. Cioè a rendere il panorama dell’informazione ticinese più ricco, più vario, più capillare e anche, ci sia permesso, più vivace e completo.

Chi è in vena di polemiche gratuite e un po’ superficiali non tarderà a dire che anche noi media privati vogliamo la nostra (piccola) fetta di torta e che ci stiamo schierando affinché dalle urne del 2026 non escano incognite troppo dolorose. In realtà, da testata indipendente, stiamo solo informando i nostri lettori su come la redistribuzione del canone sostenga un quadro mediatico di cui pochi o pochissimi conoscono la reale ampiezza. Sarebbe infatti un peccato che anche al prossimo giro il voto sull’iniziativa «200 franchi bastano!» si trasformasse nell’ennesimo (e inutile) referendum solo ed esclusivamente sulla SSR, con tutte le scontate divisioni politiche e polemiche pre-urne e post-urne. Poi ognuno si farà la propria idea e voterà come meglio crede: ça va sans dire.  

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