Svizzera-UE, la pressione è sul mondo economico

Se la partita fra i negoziatori sugli accordi bilaterali con l’UE è finita a metà dicembre, quella interna è entrata in una fase calda. Datori di lavoro e sindacati stanno discutendo una serie di misure sulla tutela dei salari, che a livello nazionale affiancherà il pacchetto messo a punto da Berna e Bruxelles. Mercoledì il «ministro» dell’Economia Guy Parmelin ha annunciato che è stato fatto un primo passo con un’intesa di principio fra i partner sociali (e i Cantoni) su diversi provvedimenti. Sin qui il percorso è stato abbastanza accidentato, perché sono occorsi più di due anni di discussioni per raggiungere un minimo comune denominatore. Politicamente la questione è rilevante perché i sindacati potrebbero svolgere un ruolo chiave per il consenso popolare sui nuovi accordi. Il pacchetto è già contestato dall’UDC e da varie organizzazioni. Se anche il mondo del lavoro facesse opposizione, l’intesa non avrebbe praticamente chance alle urne.
In questa fase, i sindacati hanno il coltello dalla parte del manico, perché possono approfittarne per alzare il prezzo delle loro rivendicazioni e cercare di strappare concessioni anche in ambiti che non hanno un nesso diretto con gli accordi: mentre le imprese e i datori di lavoro sono sotto pressione «istituzionale» affinché raggiungano un compromesso sulle misure di accompagnamento in funzione, un domani, del sostegno agli accordi con l’Unione europea.
L’operazione è tutt’altro che semplice, sia perché l’intesa informale raggiunta dai partner sociali deve essere ancora concretizzata entro fine marzo, sia perché restano punti controversi sui quali le posizioni sono distanti. Il più ostico è la semplificazione delle condizioni per dichiarare i contratti collettivi di obbligatorietà generale: per i sindacati è un aspetto importante della tutela dei salari, mentre per gli imprenditori una misura del genere andrebbe a scapito della flessibilità del mercato del lavoro. Fatto sta che è soprattutto il mondo economico sotto i riflettori, perché a seconda delle concessioni che eventualmente farà, o non farà, ai sindacati, si capirà in che misura è disposto a sostenere gli accordi con Bruxelles. Resta anche da vedere se i sindacati, al di là dei proclami battaglieri, al momento di arrivare al dunque combatteranno davvero il pacchetto. L’UDC li ha già accusati di aver tradito i lavoratori e ha detto che la dichiarazione congiunta dei partner sociali annunciata l’altro ieri dal Consiglio federale è solo un’operazione di facciata. Certo è che la strada è ancora lunga e che anche sulle misure interne ci sarà un seguito in Parlamento, soprattutto se in assenza di un’intesa preliminare toccherà al Governo fare i passi necessari, col rischio di suscitare recriminazioni e resistenze.
Oggi, però, è sull’economia che si concentrano le attenzioni. Negli ultimi giorni le pressioni sono giunte anche dalla presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter. Nella discussa intervista rilasciata al quotidiano «Le Temps», nella quale aveva commentato alcune dichiarazioni del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance, la consigliera federale aveva parlato anche delle questioni bilaterali, esortando l’economia a uscire allo scoperto. Keller-Sutter ha detto che i partiti svolgeranno un ruolo importante «e prima di tutto l’economia».
I trattati, ha detto, sono fatti affinché l’economia svizzera abbia un accesso permanente al mercato europeo. Tocca alle imprese spiegare perché hanno bisogno di questi accordi. Secondo la «ministra» delle Finanze, invece, non c’è l’impressione di una grande passione. «Se si tratta di accordi in favore dell’economia, tocca all’economia difendere i suoi interessi», ha dichiarato, convinta che non ci si possa aspettare che sia il Consiglio federale a fare tutto il lavoro. Il compito del collegio, ha aggiunto, è di spiegare vantaggi e inconvenienti del pacchetto. Minimalismo? Scarso entusiasmo? Forse, ma il segnale è chiaro: anche l’economia sarà chiamata a fare la sua parte.