Svizzera-UE, nuova dinamica e vecchi limiti

Tra Berna e Bruxelles sembrano aprirsi nuovi concreti spiragli d’intesa. Il progetto di mandato negoziale presentato dal Consiglio federale e la reazione positiva dell’UE certificano, pur con tutti i problemi ancora aperti e i nodi da sciogliere, che si è aperta una nuova dinamica e che c’è la volontà comune di trovare un accordo. Il nuovo approccio, più pragmatico, con cui il Consiglio federale punta a rilanciare la via bilaterale dimostra se non altro due cose: che la decisione del 2021 di staccare la spina all’accordo quadro istituzionale era giusta e che non era il caso di fare drammi per un progetto già clinicamente morto, disequilibrato a favore dell’UE e che non avrebbe avuto nessuna chance di essere accettato, né in Parlamento né tanto meno dal popolo. Nonostante la rappresaglia con l’esclusione da Horizon e qualche oggettiva difficoltà in alcuni settori per il mancato aggiornamento degli accordi, la vita non si è fermata e gli scenari peggiori non si sono realizzati. La Svizzera si è presa il tempo necessario per almeno cercare di costruire - di garanzie in questo ambito non ce ne sono - una nuova visione dei rapporti con l’UE, con l’obiettivo di portare stabilità e prospettive negli accordi bilaterali. Il tutto in una diversa fase geopolitica, segnata da crisi inesistenti due anni fa (quando erano state interrotte le trattative sull’accordo quadro) e che riserva nuove incognite anche per la Svizzera.
Certo, gli accordi non vanno trovati a tutti i costi. Nessun accordo, come spesso si dice, è sempre meglio di un cattivo accordo. Non avere nulla, quando si tratta di scambi economici internazionali, ha sicuramente un prezzo. Avere qualcosa di inadeguato ed eccessivamente vincolante, può essere peggio. Ma è più che giusto riattivarsi e ritentare, perché da più di vent’anni i bilaterali (nati dopo la bocciatura popolare dello Spazio economico europeo) rappresentano la via maestra nei rapporti con Bruxelles, il partner economico più importante della Confederazione. Missione possibile? Difficile dirlo, nonostante le buone intenzioni delle parti e il clima migliore (e meno ostile) rispetto a quello del 2021. Di là dello sforzo compiuto negli ultimi due anni sia con l’Unione sia per trovare il consenso internamente restano sul tappeto aspetti problematici, come la questione della sovranità e quella della tutela dei salari.
Il campo, in ogni caso, è stato parzialmente liberato da un elemento ingombrante. Non esiste più la «superghigliottina» del vecchio accordo quadro, che avrebbe fatto decadere tutti gli accordi in caso di risoluzione dell’intesa. Resta però quella originale, prevista nel primo pacchetto dei bilaterali. In materia di protezione dei salari è prevista una clausola di non regressione. Se in futuro le regole sul personale distaccato dell’UE dovessero peggiorare il livello di protezione dei salari garantito dalla Svizzera, questa non sarà tenuta a recepirle. Eccezioni sono previste anche in altri ambiti. Inoltre, a livello di ricerca e di elettricità, almeno dal profilo tecnico, le acque si dovrebbero smuovere. Restano, come detto, alcune pietre d’inciampo. A differenza del progetto naufragato nel 2021, l’approccio «a pacchetto» non disciplina le questioni istituzionali in un unico accordo ma le inserisce in ciascun singolo accordo di accesso al mercato interno. Tuttavia, in caso di divergenze non risolvibili all’interno del comitato misto, la procedura non cambia. La «causa» verrebbe affidata a un tribunale arbitrale, che sarà tenuto a consultare la Corte di giustizia europea se il tema è attinente al diritto dell’UE. «Vecchio vino in botti nuove» ha già detto l’UDC, che non vuole vincoli di natura istituzionale. Stesso discorso per quanto riguarda il recepimento del nuovo diritto sul mercato interno dell’UE, con la possibilità di subire sanzioni in caso di opposizione tramite un referendum. La preoccupazione per la sovranità è destinata a scontrarsi con gli interessi del settore dell’esportazione. In conto vanno messe anche le resistenze dei sindacati, che stanno abilmente sfruttando l’opposizione dell’UDC per imporre le loro rivendicazioni e strappare condizioni più vantaggiose agli imprenditori.
Queste sono le premesse. I negoziati, che le parti sono intenzionate a concludere in tempi relativamente brevi, andranno giudicati per i risultati. Poi, ci vorranno anni per la fase politica. La strada resta sempre in salita. E il Consiglio federale, se vuole arrivare fino in fondo, dovrà fare gli straordinari.

