L'editoriale

UDC, un successo che ribalta l'onda verde

I risultati elettorali a livello nazionale hanno confermato le predizioni dei sondaggi, che dopo l’onda verde di quattro anni fa indicavano una correzione a destra del quadro politico
Giovanni Galli
23.10.2023 06:00

Una vittoria a mani basse, un sorpasso storico e una sconfitta cocente. I risultati elettorali a livello nazionale hanno confermato le predizioni dei sondaggi, che dopo l’onda verde di quattro anni fa indicavano una correzione a destra del quadro politico, a scapito delle formazioni ecologiste. Un dato per nulla spettacolare, se paragonato a quello inatteso del 2019, ma che conferma la tendenza alla stabilità del sistema politico svizzero, capace di ritrovare i suoi equilibri dopo una legislatura straordinariamente difficile, segnata da una pandemia, dall’esplosione di una guerra fra Stati in Europa e da una grave crisi bancaria, superata grazie all’intervento decisivo dello Stato. Uscita ridimensionata dalle urne nel 2019, l’UDC è tornata ai fasti di otto anni fa, senza tuttavia riuscire a sfondare la barriera del 30%, mai superata da nessun formazione politica in oltre un secolo di sistema proporzionale. Pur non recuperando tutti i 12 seggi persi al Nazionale, il partito di maggioranza relativa ha rafforzato il suo primato. Questo successo si può spiegare sommariamente in due modi. Il primo, di gran lunga il più importante, è che l’UDC ha saputo abilmente intercettare, indisturbata, le preoccupazioni degli elettori con una campagna incentrata sul tema dell’immigrazione – suo cavallo di battaglia – e delle sue diverse declinazioni: l’asilo (con il corollario della sicurezza), le trasformazioni sul mercato del lavoro e la prospettiva non lontana di una Svizzera con dieci milioni di abitanti. Insomma, agli occhi di (quasi) un elettore su tre l’UDC è il partito che ha fornito le risposte più rassicuranti. Ma non è tutto legato a una situazione contingente. Si può presumere che l’UDC abbia incassato anche i dividendi delle battaglie perse in quelle votazioni popolari, che negli ultimi anni l’avevano spesso vista protagonista sola contro tutti. Questa affermazione rafforza anche Marco Chiesa, spesso criticato dalla stampa confederata per mancanza di leadership, ma che ha saputo riportare il partito ai suoi massimi livelli, come ai tempi di Maurer e Brunner.

Speculare alla vittoria dell’UDC è la sconfitta dei Verdi (e in parte dei Verdi liberali), che dopo l’exploit di quattro anni or sono tornati ai livelli del 2007, lasciando sul campo più di un quarto del loro elettorato. Il vento è cambiato. Il tema della migrazione domina anche in altri Paesi europei e favorisce le formazioni di destra. Il clima resta importante nella graduatoria delle preoccupazioni in Svizzera, ma la linea verde non è più un’esclusiva ecologista. Inoltre, altri partiti sono considerati più attrezzati per affrontare le altre emergenze di oggi, di natura economica, sociale e securitaria. A dimostrazione, come recita il famoso detto, che la fine del mese preoccupa più della fine del mondo. Inoltre, i Verdi non sono riusciti a trasformare il largo consenso ottenuto nel 2019 in forza di cambiamento, restando per lo più fermi su posizioni ideologiche e poco pragmatiche. La mancanza di realismo (attraverso misure che chiamano sistematicamente il cittadino alla cassa) e l’identificazione con l’attivismo climatico non sono quindi estranei alle scelte dell’elettorato, specie di opinione. Questo risultato potrebbe rappresentare una pietra tombale per l’accesso al Consiglio federale, già mancato quattro anni fa con il fallito attacco al seggio di Ignazio Cassis. In linea teorica, l’unica possibilità sarebbe di entrare in Governo a spese del Partito socialista, ma con quali numeri? A maggior ragione considerando che lo stesso PS si è leggermente rafforzato rispetto al 2019, consolidando la seconda posizione. È risaputo che in un Paese in cui regna la stabilità, non basta una vittoria di tappa (come quella del 2019) per accedere al Governo. Alla luce del grosso passo indietro di ieri, la regola non scritta secondo cui i successi vanno confermati (come fece l’UDC nel 2003) prima di riflettersi sulla composizione del Consiglio federale si dimostra giustificata. Quanto al PS, che ha incentrato la sua campagna sul potere d’acquisto, ha approfittato solo in minima parte dello scivolone dei Verdi, ma può guardare con relativa tranquillità alla successione di Alain Berset.

I sondaggi avevano predetto anche il testa a testa per il terzo posto fra PLR e Centro, con quest’ultimo vincitore al fotofinish. Se confermato, quello scaturito dalle ultime proiezioni sarebbe un risultato storico (già sfiorato nel 1955) , da ascrivere in primo luogo al presidente centrista Gerhard Pfister, che ha saputo imprimere una svolta a un partito in continua perdita di velocità. La fusione con il PBD (che ha rafforzato in certe regioni l’ex PDC) e il cambiamento del nome, con la rinuncia alla «C» del referente cristiano, si sono dimostrati elettoralmente paganti al primo test nazionale, unitamente a una linea a Berna, che tenta di conciliare una politica di stampo borghese con la socialità. Il Centro esce rafforzato anche nel ruolo di ago della bilancia. Questo possibile sorpasso, seppure storico, per il momento non avrà un impatto immediato sul Consiglio federale. Lo stesso Pfister ieri sera è stato ancora molto cauto, dicendosi contrario alla non rielezione di un membro del Governo in carica, ma al tempo stesso ribadendo che quattro seggi di destra (ndr 2 UDC e 2 PLR) sono troppi. Il dibattito sulla formula magica, quindi, potrebbe essere riaperto alla prima occasione e assumere contorni ben più agguerriti, visto che il Centro, in prospettiva, ha serie ambizioni di raddoppio. Presto o tardi il nodo è destinato ad arrivare di nuovo al pettine. Scendendo sotto il 15%, il PLR ha toccato il minimo storico. Il presidente Thierry Burkart ha parlato di «occhio blu». Una prestazione decisamente poco brillante (che potrebbe forse essere riscattata agli Stati) e che deve suonare come un campanello d’allarme per evitare un ulteriore declino.

Sta di fatto che il Nazionale ha assunto una più forte connotazione borghese. È possibile che questa tendenza si rafforzi ulteriormente agli Stati. Smaltite le scorie elettorali, questa nuova configurazione dovrebbe essere un’occasione per ritrovare coraggio e favorire la ricerca del compromesso su dossier fondamentali. L’economia, la previdenza, l’approvvigionamento energetico, i costi della salute, la sicurezza, la questione migratoria, la questione dei rapporti con l’UE avranno bisogno di soluzioni che solo una maggioranza solida è in grado di garantire.  

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