L'editoriale

Un passo indietro e due avanti

Oggi scopriremo in ogni dettaglio il Preventivo 2026 del Cantone, consci che il deficit che verrà presentato sarà, su per giù, a quota 100 milioni di franchi
Gianni Righinetti
01.10.2025 06:00

Oggi scopriremo in ogni dettaglio il Preventivo 2026 del Cantone, consci che il deficit che verrà presentato sarà, su per giù, a quota 100 milioni di franchi. Ma quelli sui banchi della politica saranno conti preventivi che nasceranno vecchi. Era già accaduto nel recente passato per effetto del tira e molla sulla lotteria dei soldi della Banca nazionale all’insegna del dilemma «la BNS verserà o non verserà?», ma anche sulla ponderazione troppo ottimista del caro premio di cassa malati, con correzioni dei sussidi Ripam a suon di milioni. E quest’anno il documento d’indirizzo del Cantone risulta ulteriormente intempestivo e superato dagli eventi per effetto dello tsunami finanziario scatenato dal voto dei ticinesi sulle casse malati, specie per il sì alla proposta socialista del 10%. Nessuno si aspettava un Governo di veggenti, ma almeno di realisti quello sì. Pronti ad un «piano b». Ora con l’avallo massiccio del principio socialista per un potenziamento capillare della politica del sussidio, approvato dal 57,1% e di quello leghista, con la facoltà di dedurre integralmente il premio nella dichiarazione d’imposta, voluto dal 60,5% dell’elettorato che ha espresso il suo voto, tiene banco una sorta di «quando» e di «come» concretizzare la volontà popolare. Sgombriamo subito il tavolo da ogni equivoco, trasmettendo a frenatori professionisti o esperti della melina che è fuori discussione ogni ritardo artificiale. Occorre agire, con testa, ma senza inventarsi cavilli o intoppi. Seguendo, oltre che l’inequivocabile e, nei fatti, politicamente trasversale «sì», un principio sacrosanto: «in dubio, pro populo». È evidente che con i conti già in affanno e la mannaia del freno ai disavanzi sotto pressione, dato che i deficit cumulati vanno a pesare e ci avvicinano alla soglia che fa scattare la scure del caro imposte (con i «se» e i «ma» che seguiranno), il margine di manovra si è assottigliato per effetto dell’assenza di coraggio nel prendere decisioni, di affrontare il capitolo «risparmi» con quell’ormai evaporato senso di responsabilità. Lasciamoci sorprendere allora dal preventivo, ma la «manovrina» contenuta non sarà sufficiente per assorbire il salasso delle iniziative, l’abolizione del valore locativo, la riforma Efas, senza dimenticare i milioni che verranno a mancare con il piano di risparmi miliardario della Confederazione e i relativi effetti milionari sul Canton Ticino. Alle variabili note, si sono ora aggiunte quelle del week-end. Il Consiglio di Stato, mettendoci la faccia nella forma dei 3/5 davanti ai media e al Paese, è apparso spaesato, insicuro e in qualche elemento finanche rivendicativo, nel senso «e adesso proponete voi cosa fare» rivolto a giornalisti e cittadini. Una reazione finanche sconcertante che lascia basiti. Aggiungendo poi che per affrontare la concretizzazione della volontà popolare, occorrerà trovare lo spazio finanziario. Questo è responsabile, ma occorrerà prudenza affinché il tutto non diventi dogmatico. Responsabile, a nostro avviso (lo diciamo anche perché sono state sollecitate proposte), sarebbe stato tirare un attimo il freno. È vero che il termine per la presentazione del preventivo è scaduto ieri, ma osiamo credere che, per un buon motivo, si potesse derogare. E allora perché non si è pensato a un «piano b», a uno stop e a un riesame da parte del Governo dei conti e degli obiettivi per l’anno che verrà, allo scopo di individuare nuovi margini di manovra, un cuscinetto finanziario per rendere meno impervia la scalata del prossimo anno per dare alla luce le iniziative fortemente volute e votate da un arco di elettori maggioritario e politicamente trasversale. Uno stop sarebbe stato lungimirante, non una resa, ma una dimostrazione di forza e realismo di fronte a un’emergenza sottolineata della cittadinanza. Una sorta di passo indietro per trovare lo slancio di farne almeno due in avanti. Un tentativo di riprendere in mano con forza la situazione riconquistando una fetta di quella fiducia e credibilità da parte di un collegio governativo che annaspa. Mostrare realismo non è debolezza ma l’esatto contrario. E questo gesto avrebbe pure smarcato il discorso tra entrate e uscite che rischia di farci finire nelle sabbie mobili tra veti incrociati e scontate chiamate alle urne per dirimere un nodo inestricabile. Una frenata già nel corso di questo autunno sarebbe stata lungimirante, anche alla luce della spinta degli iniziativisti che manifestano comprensibile impazienza e di fronte alle poco convincenti proposte all’insegna «dell’iniziamo a implementare e spendere, poi qualche Santo provvederà e forse costerà meno del previsto». La politica si fa agendo quando il problema si presenta, non attendendo il preventivo del prossimo anno. A proposito, è utile ricordare che, in men che non si dica, ci stiamo avvicinando alla volata verso le elezioni del 2027. E in quella stagione tutto diventerà impossibile, mentre la pressione dei partiti vincitori diventerà asfissiante. Chi sta fermo oggi dimostra di essere disposto a pagare (o meglio a far pagare ai cittadini) il prezzo del caos.